Stai leggendo Parkinson, l’attività fisica migliora la mobilità?

Magazine

Parkinson, l’attività fisica migliora la mobilità?

13/04/2017

L‘esercizio fisico per migliorare le condizioni di vita nei pazienti con Parkinson. Un nuovo studio dimostra i benefici dell’attività fisica svolta regolarmente per le persone colpite da questa malattia neurodegenerativa: due ore e mezzo di movimento a settimana rallenterebbero il declino nella mobilità e la riduzione della qualità di vita associata alla patologia. Ne parliamo con il dottor Bruno Bernardini, responsabile di Riabilitazione Neurologica di Humanitas.

Secondo dei ricercatori della Northwestern University e del Rehabilitation Institute di Chicago (Stati Uniti), per i soggetti con Parkinson sarebbe importante mantenere la soglia di 150 minuti di esercizio fisico a settimana (la “dose” raccomandata dalle linee guida internazionali). Ma, allo stesso modo, sarebbe utile anche centrare questo traguardo se prima si era più sedentari.

(Per approfondire leggi qui: Parkinson e demenze, verso la medicina personalizzata)

Il team ha analizzato i dati di uno studio internazionale che aveva raccolto le informazioni relative a 3400 partecipanti in 21 centri di eccellenza per il trattamento della malattia. Tali informazioni erano state raccolte nell’arco di due anni in almeno tre visite cliniche. I dati erano relativi, tra l’altro, alla durata della patologia, alle caratteristiche dei sintomi e al trattamento. «A ogni visita i partecipanti riferivano il numero di minuti dedicati ogni settimana all’esercizio mentre con un questionario si misurava la qualità di vita associata alle loro condizioni di salute», aggiunge il dottor Bernardini.

Qualità di vita e mobilità nei pazienti con Parkinson

«Il grado di mobilità dei pazienti – continua – era stimato con il Timed Up and Go, un test che misura quanto tempo si impiega ad alzarsi da una sedia senza l’ausilio di braccioli, camminare per 3 metri, girarsi e tornare seduti. Si tratta di uno strumento molto prezioso con cui si valutano gli elementi che caratterizzano le funzioni motorie dei pazienti: la velocità nel cammino, l’equilibrio e la capacità posturale».

Ebbene, è emerso che svolgere 150 minuti di attività fisica a settimana era associato a una riduzione del declino nella mobilità e nel grado di qualità di vita associato al Parkinson rispetto a chi ne praticava meno o per nulla: «Questi ultimi avevano mostrato in due anni un peggioramento più marcato delle loro condizioni di salute, facendo registrare, ad esempio, un incremento dei tempi di svolgimento del Timed Up and Go di mezzo secondo all’anno», sottolinea lo specialista. Inoltre si è visto come i pazienti con sintomi più avanzati avessero beneficiato in particolar modo aumentando di 30 minuti la “dose” di attività fisica.

(Per approfondire leggi qui: Parkinson, deficit dell’olfatto e disturbi del sonno tra i segnali precoci)

Lo studio è stato pubblicato su Journal of Parkinson’s Disease. «Le sue conclusioni confermano l’importanza che riveste l’attività fisica nella terapia del paziente parkinsoniano. Questa, come il complessivo trattamento farmacologico della patologia, ha un effetto sintomatico, ovvero fa star meglio il paziente senza modificare la storia naturale della malattia. Assieme alla fisioterapia, l’attività fisica rientra nell’armamentario terapeutico per il Parkinson».

Quando si prevede il ricorso all’attività fisica e alla fisioterapia?

«La fisioterapia, che si basa su esercizi specifici per l’equilibrio e il movimento, entra in gioco quando il rallentamento motorio impatta in maniera rilevante sull’autonomia del paziente che va incontro a disabilità. In precedenza si può far praticare attività fisica. Il ventaglio di offerte è ampio e prevede, ad esempio, la partecipazione del paziente a corsi di gruppo condotti fuori dagli ambienti sanitari da personal trainer specializzati, sull’esempio dell’Afa, l’Attività fisica adattata, ideata a Empoli dal dottor Francesco Benvenuti. Oppure lo svolgimento di attività in piscina o la partecipazione a gruppi di nordic walking. Particolarmente utile si è rivelato il tai-chi, una disciplina che lavora sull’equilibrio e su movimenti lenti per i muscoli di tutto il corpo. Il beneficio dell’attività fisica si ripercuote, infine, anche sull’efficacia della fisioterapia quando questa diventa necessaria a fronte della disabilità del paziente», conclude il dottor Bernardini.

Articoli che potrebbero interessarti

Non perderti i nostri consigli sulla tua salute

Registrati per la newsletter settimanale di Humanitas Salute e ricevi aggiornamenti su prevenzione, nutrizione, lifestyle e consigli per migliorare il tuo stile di vita