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Tumori, con i diversi sistemi immunitari cambia la risposta all’immunoterapia

11/04/2017

L’efficacia dell’immunoterapia anti-tumorale dipende dalle caratteristiche del sistema immunitario. A seconda della diversa presenza di alcune cellule immunitarie nei pazienti oncologici potrebbe cambiare la risposta al trattamento con farmaci immunoterapici. È quanto emerge dai risultati preliminari di uno studio condotto dalla University of Pittsburgh (Stati Uniti) presentati all’ultimo Congresso Annuale dell’American Association of Cancer Research di Washington.

Lo studio prende le mosse da una precedente ricerca che aveva fornito dei dati molto incoraggianti sull’efficacia di un farmaco immunoterapico, il nivolumab, in grado di migliorare la sopravvivenza nei pazienti con tumori ricorrenti del distretto testa-collo e di fornire meno effetti collaterali. I tumori della testa e del collo sono fra le neoplasie per le quali l’immunoterapia si è accreditata come un’utile strategia per il loro trattamento. Il nivolumab è una molecola che agisce riattivando la risposta immunitaria a livello tumorale.

(Per approfondire leggi qui: Immunoterapia e tumori, testato in Germania un vaccino “universale”)

Nel precedente studio, tuttavia, i ricercatori avevano osservato una diversa efficacia dell’immunoterapia fra i diversi pazienti chiedendosi se i diversi profili dei sistemi immunitari potessero in qualche modo essere associati alla risposta al trattamento. Nel nuovo studio è emersa un’associazione tra livelli più alti di cellule immunitarie associate al tumore che esprimono la proteina PD-L1 e maggiori probabilità di rispondere positivamente al farmaco, con conseguente maggiore sopravvivenza. Si tratta di cellule immunitarie che penetrano nel tumore e che si pensa giochino un ruolo importante nella crescita tumorale.

Prima di procedere con la terapia con nivolumab, i ricercatori hanno analizzato dei campioni di sangue dei pazienti. Hanno visto che i soggetti con maggiori livelli di linfociti noti come “cellule T killer” e minori livelli di cellule T regolatorie erano associati a una migliore risposta al trattamento.

L’immunoterapia è la nuova arma a disposizione nella lotta al cancro

«In generale le strategie di immunoterapia con cui togliere i freni al sistema immunitario (i cosiddetti checkpoint) hanno dato, e stanno continuando a dare, in una buona quantità di tumori dei risultati molto importanti – spiega il professor Alberto Mantovani, Direttore Scientifico di Humanitas e docente di Humanitas University. Tuttavia solo una quota di pazienti risponde alle nuove terapie. Ad esempio nel melanoma solo il 20% dei pazienti risponde al trattamento immunoterapico, sebbene con risultati drammatici alla luce dei quali può essere usata la parola guarigione. La nuova grande sfida è identificare chi risponderà e chi no ai nuovi farmaci».

(Per approfondire leggi qui: Mantovani: “Dall’immunoterapia contributo decisivo contro il melanoma”)

L’obiettivo è individuare dei marcatori con cui selezionare i pazienti da sottoporre a immunoterapia anti-tumorale: «Una delle strade percorribili è quella di valutare la presenza delle cellule T killer, tuttavia non siamo ancora in grado di predire i soggetti sui quali l’immunoterapia sarà efficace. Tra gli altri marcatori ci sono quelli associati ai cosiddetti “poliziotti corrotti”, ovvero cellule del sistema immunitario che favoriscono la crescita tumorale che abbiamo studiato qui in Humanitas. Anche in questo caso però, valutando questi marcatori, possiamo dire quali pazienti hanno più probabilità di rispondere alla terapia. Solo quando saremo in grado di dire con certezza chi beneficerà dall’immunoterapia avremo perfezionato la medicina personalizzata», conclude il professor Mantovani.

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