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Scompenso cardiaco, quali benefici dagli omega 3?

30/03/2017

Cuore più protetto con gli omega 3. Dopo un infarto o con una diagnosi di scompenso cardiaco, l’assunzione dei grassi “buoni” del pesce sotto forma di supplementi potrebbe ridurre la mortalità e il rischio di finire ricoverati in ospedale. A dirlo è l’American Heart Association con un nuovo documento scientifico pubblicato su Circulation. Allo stato dei fatti, invece, vista l’assenza di dati scientifici, non è possibile raccomandare l’assunzione di questi supplementi per la prevenzione cardiovascolare nella popolazione generale.

Con questo nuovo report l’associazione dei cardiologi americani ha aggiornato la sua posizione sul tema rispetto al 2002. I ricercatori hanno revisionato diversi studi che avevano valutato l’utilità degli omega 3 per la prevenzione cardiovascolare. Moltissime ricerche ne avevano considerato una dose giornaliera di circa 1 gr al giorno. Coerente con quanto già espresso 15 anni fa è l’indicazione sull’efficacia di tali supplementi nella riduzione della mortalità per malattie cardiache in caso di infarto. La novità, invece, riguarda proprio lo scompenso cardiaco.

In caso di insufficienza cardiaca – aggiungono i cardiologi USA – è possibile assumere capsule o compresse contenenti i grassi “buoni” del pesce per contenere il rischio di ricovero e la mortalità. Il dato scientifico deriva da un solo grande studio del 2008 che aveva mostrato come, nei pazienti con scompenso, con una dose di omega 3 da 840 mg al giorno la mortalità si riducesse del 9% mentre l’ospedalizzazione dell’8%. Approfondiamo l’argomento con gli specialisti di Humanitas.

Poco sale nella dieta di una persona con scompenso cardiaco

Il beneficio documentato dallo studio è significativo ma modesto, in ogni caso sufficiente a poter suggerire l’assunzione di omega 3 o comunque la loro non controindicazione per i pazienti affetti da scompenso cardiaco. In Italia, come in Europa e a differenza degli Stati Uniti il ricorso agli omega 3 non è molto diffuso e tra le ragioni si potrebbe pensare da un lato alla probabilità di includere più pesce nella dieta e dall’altro alla volontà di non appesantire il paziente con troppi farmaci, mettendo in tal modo in pericolo l’aderenza ad altre terapie salvavita. Queste prevedono infatti l’assunzione di diversi farmaci e con l’aggiunta di supplementi di omega 3 potrebbero diventare più difficili da gestire.

Gli studi revisionati hanno valutato solo l’assunzione di supplementi e non il consumo di pesce che di omega 3 sono naturalmente ricchi. Tuttavia proprio la dieta potrebbe giocare a favore: la quota di acidi grassi polinsaturi di cui un paziente potrebbe aver bisogno può essere ricavata proprio da un consumo regolare di pesce più “grasso”. E in questo caso il consiglio vale anche per la popolazione generale. Chi è colpito da scompenso cardiaco, già invitato nella propria dieta a contenere il consumo di sale e l’introduzione di liquidi, potrebbe privilegiare il pesce sulle carni e in questo modo rendere ancora più ”salutista” il proprio regime alimentare”.

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