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Tumore al seno, se di “grado 0” la mortalità non sempre aumenta

01/02/2017

Una diagnosi di carcinoma duttale in situ (DCIS), possibile precursore di tumore invasivo al seno, non necessariamente fa aumentare il rischio di mortalità generale. Secondo una ricerca presentata allo European Cancer Congress che si è svolto ad Amsterdam lo scorso gennaio, le donne over 50 che hanno subito un trattamento per questa forma molto iniziale di tumore avrebbero almeno le stesse probabilità delle donne di pari età nella popolazione generale di essere vive dopo 10 anni.

I risultati dello studio – spiega uno dei suoi autori provenienti dal Netherlands Cancer Institute – dovrebbero rassicurare le donne: una diagnosi di DCIS non è immediatamente una condanna e gli effetti collaterali del suo trattamento, ad esempio la radioterapia, non aumenterebbero la mortalità.

Il DCIS è la forma meno aggressiva e non invasiva del tumore della mammella

Viene considerato una sorta di “grado zero” di questo carcinoma; spesso viene diagnosticato grazie allo screening e non dà metastasi a distanza. Il trattamento del carcinoma duttale in situ è la chirurgia conservativa seguita da radioterapia o l’intervento di mastectomia.

(Per approfondire leggi qui: Tumore seno, rischio recidiva più basso con terapia ormonale decennale)

Il team ha analizzato i dati di quasi 10mila donne messe sotto osservazione per 10 anni. È emerso che le donne con più di 50 anni di età che avevano ricevuto un trattamento per DCIS, sebbene avessero un rischio di mortalità per tumore alla mammella maggiore delle donne sane, in generale avevano un rischio di mortalità generale leggermente inferiore.

Una diagnosi di DCIS non farebbe aumentare il rischio di mortalità, concludono i ricercatori. Un dato che può sembrare sorprendente ma che si potrebbe spiegare alla luce di una maggiore coscienza della propria salute e una partecipazione più rigorosa ai programmi di screening delle donne che hanno ricevuto tale diagnosi rispetto alla popolazione generale.

Per le donne da 50 a 69 anni è previsto un programma di screening nazionale

«La partecipazione ai programmi di screening è uno dei pilastri della prevenzione e della diagnosi precoce oncologica», sottolinea la dottoressa Lorenza Rimassa, vice responsabile dell’UO di Oncologia Medica dell’ospedale Humanitas. «Si tratta di un messaggio da ribadire con forza in occasione del World Cancer Day, la Giornata mondiale del Cancro, il 4 febbraio».

(Per approfondire leggi qui: Tumore al seno, non solo noduli: i segnali da non sottovalutare)

«Per il tumore al seno esiste in Italia un programma di screening a livello nazionale rivolto a donne da 50 a 69 anni di età, con la richiesta di sottoporsi a mammografia ogni due anni. Sebbene sia aumentato il numero di inviti nel 2014 e 2015, il tasso di partecipazione è ancora piuttosto basso: nel 2015 poco più di 1 donna su 2 ha raccolto l’invito. Prendere parte al programma di screening è fondamentale perché, con questo tipo di esami, si possono individuare precocemente lesioni precancerose o forme iniziali di tumore e trattarle tempestivamente, avendo a disposizione più opzioni terapeutiche e aumentando le probabilità di guarigione», conclude la dottoressa Rimassa.

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