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Memoria: impara qualcosa, fa’ un po’ di sport e dopo 4 ore ricorderai meglio

03/08/2016

Fare attività fisica qualche ora dopo aver imparato qualcosa aumenterebbe le probabilità di ricordare meglio quanto appreso. È la conclusione di uno studio della Radboud University di Nijmegen (Paesi Bassi) pubblicato su Current Biology.

I ricercatori hanno valutato l’effetto di una sessione di esercizio fisico sulla memoria a lungo termine. Hanno reclutato 72 volontari e hanno chiesto loro di imparare 90 associazioni tra immagini e luoghi in circa 40 minuti. I partecipanti sono stati poi assegnati a tre gruppi: il primo doveva praticare attività fisica subito dopo il test d’apprendimento; il secondo a distanza di 4 ore, mentre il terzo non avrebbe svolto alcun tipo di esercizio. L’attività fisica consisteva in 35 minuti di attività aerobica sulla cyclette a un’intensità al massimo pari all’80% della frequenza cardiaca dei volontari.

48 ore dopo i partecipanti sono tornati per eseguire un test di memoria. Mentre rispondevano alle domande i loro cervelli venivano scansionati con una risonanza magnetica. Ebbene, alla fine dei test, è emerso che chi si era esercitato 4 ore dopo ricordava meglio rispetto a chi non avesse svolto attività fisica e, infine, rispetto a chi l’avesse fatta immediatamente.

(Per approfondire leggi qui: Cervello, ecco i 7 cibi che aiutano la memoria)

Il meccanismo alla base di questo effetto benefico non è chiaro. Probabilmente sono coinvolte le catecolamine, sostanze chimiche come la dopamina e la norepinefrina, che possono migliorare la memoria. E un modo per stimolarne la produzione è proprio il movimento fisico.

Le “4 ore” tra apprendimento ed esercizio fisico sono comunque indicative

Infine, la performance peggiore, quella del gruppo formato da chi s’era esercitato subito dopo l’apprendimento, può essere spiegata alla luce di una sorta di “interferenza” tra gli effetti dell’esercizio e il processo di formazione di nuova memoria. La finestra delle 4 ore è comunque indicativa, fa sapere uno dei ricercatori: anche 2 ore potrebbero bastare.

L’ipotesi di un coinvolgimento delle catecolamine alla base dell’effetto benefico dell’esercizio fisico, come suggerisce il team, può essere plausibile? «È noto che il rilascio di catecolamine, cosi come del BDNF ma anche di altri fattori, che giocano un ruolo chiave nei processi di plasticità sinaptica e nella memoria, sia influenzato dall’attività fisica, risponde la dottoressa Elisabetta Menna, ricercatrice di Humanitas e dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr.

(Per approfondire leggi qui: Memoria, ripetere con qualcuno a voce alta il modo migliore per ricordare)

«Tuttavia, per loro stessa ammissione, gli autori non possono trarre alcuna conclusione al riguardo perché non hanno effettuato nessuna misurazione di questi fattori per capire se i loro livelli cambiavano contestualmente con l’esercizio fisico. Si tratta quindi di speculazioni basate su ricerche effettuate anche su modelli sperimentali e pubblicate in letteratura».

L’esercizio fisico può essere un’arma per mantenere una buona memoria?

«Sì, assolutamente. Un’attività fisica costante, soprattutto la corsa, ha sicuramente molteplici effetti benefici sul cervello: stimola la formazione di nuovi neuroni, nuove sinapsi, la produzione di fattori benefici e riduce la produzione di fattori potenzialmente dannosi (radicali liberi, molecole infiammatorie, stress), migliora lo stato di ossigenazione del tessuto cerebrale. Molti di questi fenomeni sono stati osservati in modelli sperimentali, ma questo studio rivela un chiaro effetto positivo anche sull’uomo».

«A ulteriore conferma, da alcuni anni sappiamo che un programma strutturato di attività fisica e ludica (musicoterapia) può efficacemente contrastare gli effetti dell’invecchiamento cerebrale in soggetti a rischio di Alzheimer o demenza vascolare (studio Train the Brain condotto dal prof. Lamberto Maffei dell’Istituto di Neuroscienze del CNR). Studi futuri potranno chiarire quali sono i parametri piu efficaci dell’attività sia in condizioni fisiologiche che patologiche e potranno quindi aiutare a disegnare possibili percorsi riabilitativi».

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