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Ebola, che cosa fare se si sospetta il contagio

29/10/2014

Il quadro clinico della malattia da virus Ebola soprattutto in fase iniziale è assolutamente aspecifico, e può somigliare a quello di altre malattie infettive o addirittura a quello della sindrome influenzale. Dopo un periodo di incubazione, che può variare tra i 2 e i 21 giorni, in cui il paziente non è contagioso, la malattia si manifesta con sintomi quali febbre, dolori articolari e muscolari, mal di testa e inappetenza, a cui fanno seguito vomito, diarrea ed emorragie interne o esterne. Nella prima fase l’Ebola presenta dunque i comuni sintomi dell’influenza, cosa che a breve potrebbe creare infondati allarmismi. Quali sono le condizioni che possono far pensare a un caso di Ebola, pertanto quando è davvero il caso di allarmarsi e di rivolgersi al Pronto Soccorso? Lo abbiamo chiesto al dottor Matteo Moro Responsabile Risk Management nell’ambito della Direzione Medico Sanitaria di Humanitas.

«E’ importante rivolgersi al Pronto Soccorso se effettivamente siamo in presenza di quelle condizioni che possono far pensare a un presunto caso di Ebola. Per cui se una persona ha anche uno solo dei sintomi della malattia da virus Ebola – quindi febbre, nausea, o addirittura emorragie inspiegate e non consuete – e contestualmente ai sintomi il soggetto in questione ha di recente fatto un viaggio in una delle zone dove esistono casi documentati di Ebola, è bene recarsi in un Pronto Soccorso che abbia un reparto di malattie infettive. In alternativa è possibile allertare il 118 segnalando già il rischio di un possibile caso di Ebola. A questo punto anche se si tratta di un sospetto molto vago, la procedura Nazionale (e Regionale) prevede che gli operatori indaghino per confermare la meta del viaggio e capire se c’è stato un contatto con qualcuno presumibilmente malato d’Ebola. In base al tipo di situazione il Pronto Soccorso sa già come muoversi, e in relazione alla presenza o meno di sintomi o di esposizione al rischio, ci sono tutta una serie di comportamenti da adottare. Vediamo quindi in ottica paziente quali sono le procedure del caso».

Casi in cui il soggetto non presenta alcun sintomo

Caso 1: per chi non ha avuto contatti con nessun malato (o sospetto) di Ebola, non presenta febbre nè sintomi, non è necessaria alcuna misura cautelativa.

Caso 2: per i conviventi o coloro che hanno assistito un malato (o sospetto) di Ebola, il consiglio è di rimanere a casa. Il nominativo di questa persona verrà comunque segnalato ai dipartimenti di prevenzione dell’ASL, i quali seguiranno il soggetto che deve anche misurarsi due volte al giorno la febbre. Dunque in caso di un soggetto esposto a rischio intermedio, come questo, il protocollo prevede un monitoraggio (quarantena) domiciliare delle condizioni di salute per i 21 giorni successivi all’ultima esposizione al contagio.

Caso 3: una persona che al momento non presenta nessun sintomo, ma ha avuto un’esposizione significativa a un paziente è un soggetto asintomatico non contagioso che però risulta essere ad alto rischio di sviluppare l’infezione da virus Ebola a seguito di un’esposizione diretta di cute (anche integra) o mucose a materiali biologici del paziente, ad esempio a sangue, vomito, secrezioni respiratorie, feci, urine oppure contatto viso a viso, rapporto sessuale, punture o altre ferite penetranti con materiale potenzialmente contaminato, manipolazione o ricomposizione della salma senza adeguata protezione. Anche in questo caso non rimane che aspettare e monitorare la situazione, ma questa volta in un reparto di malattie infettive. Se dopo 21 giorni dall’ultima esposizione il paziente non avrà sviluppato nessuno dei sintomi, verrà rimandato a casa, se invece dovesse sviluppare l’Ebola, ovviamente sarà trattenuto in reparto per le cure del caso ».

Casi in cui il soggetto presenta qualche sintomo

«Passiamo quindi ai casi sospetti, quelli in cui il paziente che arriva al Pronto Soccorso presenta già dei sintomi. Può trattarsi nella fattispecie di un soggetto sintomatico, che pur provenendo da una delle regioni epidemiologicamente rilevanti non riferisce nessun contatto significativo con malati o sospetti di Ebola. In tal caso il paziente verrà ricoverato in un reparto di malattie infettive per procedere con gli accertamenti. Verrà quindi sottoposto al test per Ebola e ad altri test (ad esempio potrebbe trattarsi di malaria, influenza, gastroenterite o altre patologie che presentano i medesimi sintomi). Nel caso invece si tratti proprio di Ebola una malattia senza terapia specifica nè profilassi vaccinale), il medico può semplicemente trattare il paziente con una terapia di sostegno.
L’ultimo caso è quello di una persona che presenta i sintomi e che riferisce di aver avuto contatti con un paziente malato di Ebola, quindi un soggetto sintomatico ad alto rischio di sviluppare la malattia. Il paziente in tal caso verrà trasferito direttamente all’ospedale Sacco di Milano o all’Istituto Nazionale di Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, a Roma, dove verrà sottoposto anch’egli al test per Ebola e agli altri test e curato in base alla diagnosi».

Quante sono le possibilità che il paziente affetto da Ebola guarisca?

«Ad oggi la letalità della malattia da virus Ebola supera il 50%. Poiché non sono disponibili terapie specifiche, il medico può solo supportare il paziente, al fine di alleviare i sintomi con antipiretici e tentare di limitare le complicazioni (con infusioni di liquidi e sali minerali, trasfusioni, …). Molti esperti ritengono che in ospedali attrezzati, con standard di cura europei, e un’assistenza intensiva quando necessaria, sia possibile ridurre la letalità di questa infezione significativamente. Tutto questo in attesa di farmaci che possano agire direttamente sul virus, migliorando ulteriormente la prognosi o addirittura, speriamo, ottenere la guarigione di tutti i malati».

 

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