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Spuntini notturni “saziano” meno: è l’inganno del cervello

12/05/2015

Lo spuntino di mezzanotte “nasce” nel cervello. Guardare il cibo nelle ore serali non fa provare la stessa euforia e soddisfazione che si prova nel resto della giornata: pertanto, chi ha l’abitudine di piluccare dal frigorifero in notturna, tende a consumare più snack per cercare di raggiungere un certo grado di soddisfazione. Lo sostengono alcuni ricercatori della Brigham Young University, Stati Uniti, che hanno condotto uno studio sulla risposta dei neuroni quando gli occhi hanno davanti a sé l’immagine del cibo. L’obiettivo era cercare di scoprire se il momento in cui lo si osserva, di sera o di mattina, gioca un ruolo determinante in questa risposta. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Brain imaging and behavior.

A fare da “cavia” quindici donne in salute alle quali sono stati mostrati diversi alimenti, sia ad alto contenuto calorico (gelato, cibo da fast food), che con poche calorie (verdure, frutta, pesce), tanto di sera quanto di giorno. Il team ha usato delle risonanze magnetiche funzionali per valutare come il cervello rispondesse a questi stimoli visivi. Dalle immagini dell’accertamento diagnostico è emerso che sei aree del cervello si attivavano in maniera più blanda davanti a entrambe le categorie di cibi nelle ore serali. Tra queste, anche il circuito cerebrale della ricompensa e del piacere.

 

I cibi più calorici “accendono” il cervello più di quelli sani

In nove regioni del cervello, invece, l’attivazione era più marcata davanti a gelato, dolci e cibo da fast food. Gli stimoli visivi del cibo calorico tendevano a produrre una risposta maggiore rispetto a quelli poco calorici, indipendentemente dal momento della giornata. Inoltre i partecipanti allo studio, sebbene avessero la stessa fame nei due momenti, hanno dichiarato di pensare in modo più insistente al cibo di sera e che allora avrebbero mangiato di più.

«I risultati della ricerca sottolineano l’importanza che riveste il momento del giorno nel processo di valutazione visiva degli alimenti, un aspetto, questo, che potrebbe avere delle ricadute pratiche nella vita di tutti i giorni e, in linea teorica, anche delle ricadute cliniche ovviamente tutte da investigare. Gli autori infatti concludono che è necessario un ulteriore studio su questi aspetti», spiega la dottoressa Elisabetta Menna, ricercatrice di Humanitas e dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr.

«Tuttavia – specifica – la ricerca non spiega minimamente perché si mangia di notte, anzi semmai sembrerebbe che la “motivazione” neuronale a mangiare di notte sia inferiore a quella a mangiare di giorno per lo meno in condizioni fisiologiche. Inoltre, una grande limitazione dello studio, come ammettono anche gli stessi autori, è il piccolo campione utilizzato, che seppur omogeneo (tutte donne caucasiche), resta comunque un campione piccolissimo per questo tipo di studi», conclude la specialista.

 

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