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Raffreddore, scoperto il codice che ne governa il virus

03/03/2015

Svelato il codice che regola l’infezione del virus del raffreddore. Il risultato è il frutto di una ricerca condotta dalle università inglesi di Leeds e York pubblicata sulla rivista Pnas. Questo codice è nascosto nella sequenza che compone il patrimonio genetico del virus. Sono stati decifrati quei segnali che permettono l’assemblaggio del virus: bloccare questo processo vuol dire renderlo inefficace e, quindi, prevenire le malattie.

I ricercatori hanno studiato la struttura dell’acido ribonucleico (Rna) di una molecola di virus del raffreddore, il rinovirus. Secondo lo scienziato che ha guidato il team, per questi virus è stata scoperta una sorta di “macchina Enigma”, ovvero il sistema di decodifica che nascondeva questi segnali: ora è possibile leggere i messaggi, decifrarli e anche interromperne la trasmissione.

Per gli autori dello studio, era noto da decenni che l’Rna porta con sé i messaggi che creano le proteine virali, ma non l’esistenza di un secondo codice che governa l’assemblaggio del virus. Lo studio va oltre – sottolineano – perché dimostra che sarebbe possibile progettare delle molecole che interferiscono con il codice, rendendolo non interpretabile e, quindi, stoppare efficacemente il virus.

«Dal punto di vista della ricerca scientifica – sostiene la dottoressa Francesca Puggioni, pneumologa di Humanitas – lo studio è di estrema importanza. Gli scienziati hanno infatti individuato quel codice di proteine Rna che fa in modo che il virus si assembli. Dopo essere entrato nelle cellule dell’organismo – prosegue – il virus usa la forza della cellula infettata per produrre il suo codice genetico e quindi prendere forma».

Il raffreddore dovrebbe durare al massimo sette giorni

Tuttavia il valore pratico dello studio è ancora da valutare: «È difficile ipotizzare il ricorso a una terapia genetica per colpire l’assemblaggio del virus ai primi sintomi di un raffreddore. Quello che più realisticamente si può ipotizzare – conclude la dottoressa Puggioni – è che in futuro, grazie allo studio, si possa definire una terapia da somministrare a scopo preventivo come una sorta di profilassi nei soggetti a rischio già affetti da altre patologie a carico dell’apparato respiratorio».

Alle parole della dottoressa Puggioni fa eco il dottor Luca Malvezzi, otorinolaringoiatra di Humanitas, che sottolinea le possibili implicazioni dello studio anche «dal punto di vista epigenetico. Ogni scoperta è importante perché può aprire la strada verso nuovi orizzonti. Potrebbe essere interessante ad esempio capire come si comporta la cellula in alcune situazioni particolari come quando è in corso un processo infiammatorio: quali sono le strategie che mette in atto per difendersi, perché queste strategie in certe situazioni portano a una risoluzione della malattia e in altre a una sua evoluzione».

Al di là dell’utilità della ricerca, è importante sottolineare l’impatto nella vita di tutti i giorni del raffreddore che, come nota la dottoressa Puggioni, «fa perdere agli Stati Uniti 150 milioni di giorni di lavoro». «Bisogna distinguere tra soggetti sani e categorie a rischio – aggiunge il dottor Malvezzi –. Per i primi il disturbo dura qualche giorno e sì, con un po’ di attenzione e riposo la situazione rientra senza alcuno strascico. Mantenere al caldo le zone colpite dal virus aumenta le possibilità di pronta guarigione perché rallenta la replicazione virale. D’altra parte anche il nostro organismo attua questa strategia difensiva aumentando la temperatura corporea (febbre). E allora non bisogna contrastare questa strategia ad esempio utilizzando in modo improprio il paracetamolo, utile solo per temperatura superiori e ai 38,5 °C. Per le categorie a rischio, i bambini, gli anziani, i soggetti con disturbi respiratori come asma e bronchite croniche, fibrosi cistica, bronchiectasie o persone non immunocompetenti – conclude l’esperto – l’attenzione va posta subito nell’inviare il paziente alle cure idonee evitando che un banale raffreddore possa evolvere in complicanze anche serie e lunghe ospedalizzazioni».

 


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