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Cuore & psiche

27/12/2012

Cuore e psiche Possono fattori psicologici come ansia, stress e depressione influenzare la salute del nostro cuore? Ecco le risposte della psicologa di Humanitas Gavazzeni.

 

I fattori che possono causare disturbi al cuore sono tanti. Alcuni sono legati al nostro stile di vita, tipici della società industrializzata: il fumo, la sedentarietà, il sovrappeso. Altri sono di tipo psicologico. Tra questi troviamo gli stati emotivi (ansia, depressione, stress acuto), i fattori socioculturali (i ritmi di lavoro eccessivi), i tratti della personalità (rabbia inespressa, aggressività) e infine i fattori interpersonali, come per esempio il supporto sociale.Agnese Rossi, psicologa di Humanitas Gavazzeni di Bergamo, ce li ha spiegati. 

Dottoressa Rossi, che rapporto c’è tra psicologia del paziente e malattie del cuore? 
«Non sempre una sensazione insolita del battito del cuore indica un vero e proprio disturbo cardiaco. Il cuore, infatti, è un organo che si adatta facilmente ai nostri comportamenti e ai cambiamenti del nostro corpo. Il buon funzionamento dell’apparato cardiaco è collegato anche al modo in cui viviamo momenti emotivamente carichi e intensi. Basta pensare, ad esempio, all’aumento della frequenza cardiaca che si verifica prima di incontrare una persona importante, tutte le volte che dobbiamo affrontare una prova, oppure quando siamo spaventati o arrabbiati. Spesso, perfino il linguaggio che usiamo per esprimere questi stati emotivi è fatto di modi di dire come “ho un tuffo al cuore”, “mi scoppia il cuore”, “ho il cuore in gola”. Questo rende bene l’idea di quanto le nostre emozioni non si possano separare del tutto dal ritmo del cuore». 

«Ma se si presentano con una certa regolarità livelli elevati di ansiao di rabbia repressa, di stress continuo e acuto o stati depressivi marcati, allora è facile che i valori della pressione arteriosa si modifichino e che si presentino aritmie o altri disturbi cardiaci. Alcune persone che vivono questi stati emotivi sono predisposte a patologie cardiovascolari perché hanno un profilo psicologico particolare (gli studi psicocardiologici chiamano questi pazienti personalità di tipo A)». 

Quali sono le caratteristiche psicologiche di questi pazienti? 
«Spesso il paziente con problemi cardiaci legati a importanti cause psicologiche fa fatica a esprimere e indirizzare le emozioni. Le tiene dentro di sé perché considera pericoloso esprimerle. Allora le nasconde dietro un muro impenetrabile per difendersi. In questo modo, le emozioni si ripercuotono a livello somatico: il corpo diventa cioè la valvola di sfogo di queste emozioni, le quali diventano così sintomo di malattie». 

«Questi pazienti, poi, tendono a “prendersi a cuore” qualcuno o qualcosa (per esempio il lavoro). Investono molta energia con spirito di competitività, iperattività, irrequietezza e alti livelli di tensione e aggressività. È raro che questi pazienti riescano a concedersi momenti per rilassarsi e dedicarsi a se stessi: vivono con un senso di “urgenza del tempo” e si immergono nel lavoro senza un attimo di tregua. Spesso cercano l’affermazione personale e interpretano la realtà come una sfida quotidiana. Nello stesso tempo, hanno bisogno di tenere sotto controllo l’ambiente e le persone vicine». 

«Paradossalmente però, persone del genere nascondono dietro questa facciata bassa autostimaumore depresso, sentimenti diinadeguatezza e di profondo disagio. Tutte condizioni che possono portare ad affrontare la realtà con sentimenti di rabbia e di ostilità. Ecco perché, talvolta, queste persone hanno anche grandi difficoltà a stabilire relazioni interpersonali gratificanti. 
Secondo vari studi, l’apparato cardiocircolatorio di questi pazienti è molto più reattivo. Ciò potrebbe far aumentare il rischio di angina pectoris e di infarto miocardico
È evidente che questo profilo di personalità non si riferisce alle malattie cardiache che sono secondarie a cause di natura organica». 

Questi aspetti sono presenti nello stesso modo nell’uomo e nella donna? 
«Fino a non molto tempo fa le malattie cardiache venivano considerate un affare “da uomini”. In realtà, è ormai noto che anche la donna si può ammalare di cuore come l’uomo, anche se in età e in modi diversi. Spesso le donne sopportano livelli elevati di stress quando cercano di conciliare ruoli e attività molteplici: lavoro, casa, famiglia. Talvolta sottovalutano il sovraffaticamento affettivo e lavorativo. Lo stato di ansia che nasce è tale da rendere la quotidianità poco gratificante e difficile da gestire: una possibile causa di disturbi cardiaci». 

Cosa si può fare in questi casi? 
«Sia per l’uomo che per la donna è fondamentale dedicare più ascolto ai messaggi che provengono dal nostro corpo e dal nostro cuore allo scopo di modificare lo stile di vita. In genere, questo consiglio viene ignorato. La scusa è che “non c’è tempo”. Ma è proprio il rapporto con il tempo che deve essere cambiato, per evitare che ogni giorno sia una continua ed estenuante lotta contro di esso. Ciò significa imparare a spendere la propria giornata in attività e interessi diversi: il lavoro, la famiglia, gli hobby e pause da dedicare a se stessi. Questo è il primo passo per non essere sempre dominati dalla fretta. Una pericolosa iperattività non permette di vivere con soddisfazione e serenità neanche i momenti più piacevoli della giornata». 

Dunque si può intervenire sulla psicologia del paziente per prevenire i disturbi cardiaci? 
«Ci sono interventi di prevenzione primaria e secondaria di questi disturbi. La prevenzione primaria punta all’educazione. Si cerca di informare il paziente sulle possibili cause di queste malattie, in particolare su comportamenti come la sedentarietà, il fumo, lostress, l’obesità, il diabete, ecc. Con la prevenzione secondaria, si motiva il paziente a cambiare i comportamenti a rischio e a applicare strategie che gli permettano di migliorare concretamente le sue abitudini di vita nel tempo». 

E per quanto riguarda la riabilitazione dopo un’operazione al cuore? 
«Anche nel percorso di riabilitazione è importante il supporto psicologico dell’equipe riabilitativa. Dopo l’intervento, la riabilitazione psicologica consiste nell’elaborazione dell’esperienza: il paziente prende coscienza della malattia vissuta e impara ad accettarla. In questo modo acquista più fiducia nel funzionamento del suo corpo, riprende più facilmente le sua attività quotidiane ed è più motivato a ridurre i comportamenti a rischio. Durante la riabilitazione si affrontano anche le possibili reazioni depressive o ansiose alla malattia, che possono essere fonte di un marcato disagio per il paziente e la sua famiglia».

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