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La ricerca scientifica nel 2011: un focus sulla donna

18/01/2011

Cosa aspettarci dalla medicina e dalla ricerca nel prossimo futuro? E cosa auspicare? Prosegue il dossier di Humanitasalute sulle speranze e gli obiettivi del 2011, con un’intervista al prof. Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas.

Il prof. Alberto MantovaniCosa aspettarci dalla medicina e dalla ricerca nel prossimo futuro? E cosa auspicare? Sicuramente maggiore attenzione verso la “medicina di genere“, che si fa carico delle differenze e dei problemi legati al sesso. Forti aspettative, inoltre, riguardano le terapie contro il cancro: cure nuove, più efficaci e personalizzate, terapie cellulari in grado di attivare le nostre difese contro i tumori, e vaccini, terapeutici e preventivi.
Un tema quello dei vaccini, sempre caldo. Servono studi per metterne a punto di nuovi, in grado di combattere malattie che affliggono soprattutto i Paesi più poveri. Ed è soprattutto necessario rendere maggiormente disponibili i vaccini già esistenti, laddove ce ne è più bisogno. Parliamo di queste aspettative con il professor Alberto Mantovani, Direttore Scientifico di Humanitas.

Professor Mantovani, il futuro della ricerca è donna?

“Sì, nel senso che si devono sostenere maggiormente gli studi nel settore della medicina di genere. Abbiamo sempre guardato alla salute in un certo senso in modo asessuato. Negli ultimi anni, però, ci siamo accorti che il genere, maschile o femminile, è molto importante.
Innanzitutto perché la gestione come paziente di una donna giovane, in età fertile, pone infatti problemi del tutto particolari: ad esempio l’importanza di garantirle la possibilità di avere figli, e di controllare gli effetti della gravidanza e della post-gravidanza sulla malattia stessa.
In secondo luogo perché ci sono alcune malattie che colpiscono in netta prevalenza le donne: prime fra tutti, le malattie autoimmuni (o immunodegenerative) – artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico, sclerosi multipla… – che costituiscono il paradigma della Medicina di genere. Il lupus, per esempio, interessa il sesso femminile con frequenza di circa 9 volte superiore al sesso maschile. E dati simili valgono anche per l’artrite reumatoide.
Le malattie autoimmuni rappresentano un grave problema sociale: nel mondo occidentale sono la terza categoria di patologie più comune dopo il cancro e le malattie cardiovascolari. Sono causate dal sistema immunitario che aggredisce il proprio organismo anziché difenderlo: non riconoscendo più alcune cellule o componenti dei tessuti, le attacca e le distrugge. Sono stati fatti grandi progressi nel controllo dell’infiammazione scatenata da queste malattie ed è fondamentale proseguire in questa direzione. E, ancora, è necessario impegnarsi per capire le cause che le attivano, perché conoscere il motivo significa poter mettere a punto cure più efficaci, oltre che agire alla radice per prevenirle”.

Quali sono, invece, le aspettative sul fronte della lotta ai tumori?

“Negli ultimi anni gli studi in ambito immunologico hanno aperto le porte ad una nuova frontiera diagnostica e terapeutica, complementare a quella tradizionale, mirata a colpire direttamente la cellula cancerosa: attaccare il microambiente nel quale e grazie al quale il tumore cresce e prolifera. Il tumore infatti, per crescere e svilupparsi, sovverte e corrompe le difese immunitarie e infiammatorie, creando una vera e propria “nicchia ecologica” (microambiente infiammatorio), senza la quale non sopravvive.
Dal 2011 ci aspettiamo nuovi importanti risultati su questo fronte.
In particolare, è in corso un progetto, “Innate Immunity in Cancer (ICC): Molecular Targeting and Cellular Therapy“, sostenuto da AIRC e di cui sono coordinatore, cui partecipano Università di Milano-Bicocca (Monza, prof. Andrea Biondi), Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (Roma, prof. Franco Locatelli, Università di Genova (prof. Alessandro Moretta e prof. Lorenzo Moretta), Ospedali Riuniti di Bergamo (prof. Alessandro Rambaldi), Università La Sapienza (Roma, prof.ssa Angela Santoni). Obiettivo di questo progetto è trasferire al letto del paziente le scoperte originali ed innovative fatte nel nostro Paese sulla comprensione dei meccanismi molecolari e cellulari del sistema immunitario contro il cancro. Nel corso dell’anno dovremmo avere nuovi risultati. La speranza è che siano incoraggianti per proseguire ulteriormente su questa strada.
Stiamo parlando delle cosiddette “terapie cellulari”?
“Esattamente. Verranno avviati protocolli innovativi di terapia cellulare delle leucemie basati sull’attivazione di componenti dell’immunità innata, le cosiddette cellule Natural Killer: assassini naturali potenzialmente in grado di uccidere il cancro, ma che vengono come disarmati dai tumori. Le cellule NK verranno appropriatamente selezionate, prelevate e ‘rieducate’ con un fine preciso: aggredire le cellule tumorali. Reinfondendole nei pazienti, trasferiremo in loro una vera e propria ‘pattuglia armata’ contro il cancro. Nell’ambito di questo progetto effettueremo il primo studio di trasferimento di cellule ‘rieducate’ in una fabbrica di cellule strutturata in modo rigoroso, a tutela dei pazienti e a garanzia della qualità della sperimentazione clinica. A queste affiancheremo protocolli diagnostici e terapeutici originali basati su molecole scoperte dal nostro gruppo.
Storicamente, i maggiori progressi nella lotta al cancro sono sempre stati ottenuti prima in malattie onco-ematologiche, che costituiscono una sorta di ‘apri-pista’ per i tumori solidi. Siamo quindi convinti che leucemie e linfomi siano un ottimo punto di partenza per la messa a punto di nuovi metodi diagnostici e terapeutici estendibili, successivamente, anche agli altri tipi di tumori”.

E i vaccini anti-cancro?

“Sono in parte già una realtà. Sono già in uso clinico due vaccini preventivi contro il cancro: quello contro l’epatite B, efficace per prevenire una considerevole quota di cancri del fegato, e quello contro il Papilloma virus (HPV) che provoca il cancro della cervice uterina ed è probabilmente coinvolto anche in alcuni tumori della gola.
E se questa è già la realtà, il futuro è rappresentato dai vaccini terapeutici, basati sull’identificazione e il riconoscimento, da parte del sistema immunitario, di strutture presenti sulla cellula tumorale, e sull’utilizzo di cellule ‘sentinella’ capaci di scatenare la risposta immunitaria. Per ora è una speranza, ma su di essa si sta lavorando in tutto il mondo, compreso il nostro Paese”.

Più in generale, a livello di salute globale, quali sono le aspettative e le speranze per questo nuovo anno?

“Esiste un obiettivo del millennio relativo alla salute globale, in particolare infantile: ridurre di due terzi la mortalità entro il 2015. Ogni anno, infatti, nei Paesi poveri muoiono 3 milioni di bambini per malattie prevenibili con i vaccini di base, tra cui le diarree infantili legate a febbre tifoide, colera e rotavirus.
La speranza quindi è duplice. Da una parte riuscire, attraverso la ricerca, a mettere a punto nuovi vaccini: che ci aiutino a combattere le maggiori cause di mortalità infantile (prime fra tutti le diarree e la febbre tifoide) e che diano ‘memoria’, ovvero risultino efficaci più a lungo nel tempo. Anche il sistema immunitario, infatti, ‘perde’ la memoria: così, il vaccino contro la meningite utilizzato nei Paesi della fascia sub-sahariana, la più colpita da questa malattia, è utile per tenere sotto controllo l’epidemia ma non offre una protezione a lungo termine. La sfida, perciò, è capire meglio i meccanismi della memoria immunitaria e tradurre queste scoperte in vaccini in grado di dare ‘memoria’ perenne al sistema immunitario contro i virus.
Dall’altra parte, la speranza è rendere maggiormente disponibili i vaccini che già abbiamo nei Paesi che ne hanno maggiormente bisogno, facendo diminuire l’intervallo di tempo (attualmente 15-20 anni) che intercorre fra lo sviluppo di un vaccino e il suo trasferimento ai paesi poveri.

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