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Amore, dolore e dopamina

19/10/2010

Uno studio scientifico dimostra che l’amore riduce la percezione del dolore grazie alla dopamina, l’ormone del benessere.

La religione lo predica da sempre. Ma ci si deve credere per fede. Gli autori di brani d’amore ne cantano in continuazione. Ma rimane il dubbio. E così oggi la conferma arriva proprio dalla ricerca. Un gruppo di studiosi della Stanford University ha, infatti, dimostrato scientificamente che l’amore è in grado di aumentare la soglia del dolore ovvero di alleviarlo riducendone la percezione. Come? Le emozioni provate durante un amore intenso come quello, per esempio, dell’innamoramento, sono in grado di attivare alcune aree cerebrali tra cui quelle in cui risiede la dopamina, l’ormone del benessere. I ricercatori hanno fatto vedere ai pazienti una foto del loro amato e una foto di un loro conoscente “misurando” lo stato emozionale e l’attivazione delle aree cerebrali attraverso la risonanza magnetica funzionale. Solo la foto del proprio amato influenzava la percezione del dolore. Ma è veramente una novità? E come è applicabile nella realtà medica? Ne abbiamo parlato con Diego Beltrutti, consulente in Medicina del dolore dell’Unità operativa di Anestesia e Day Hospital chirurgico in Humanitas.

Dottor Beltrutti, cosa ne pensa di questa scoperta?
“Ritengo che non sia del tutto una scoperta nel senso che noi addetti ai lavori, che ci occupiamo da sempre di dolore, già lo sapevamo o, meglio, ne eravamo convinti, perché lo ‘osserviamo’ empiricamente tutti i giorni. Lo stesso vale per i credenti in ambito religioso e per i bambini quando, dopo una caduta in cui provano dolore, chiedono alla mamma il famoso ‘bacio che fa passare tutto’. Si dice che Melzack e Wall abbiano intuito la loro ormai storica ‘Gate Control Theory’ proprio partendo dall’esame neurofisiologico della carezza materna dopo un piccolo dolore. Questa ricerca ha il pregio, quindi, di aver dimostrato, per la prima volta scientificamente, come amore e dolore siano esperienze correlate”.

E’ applicabile nella realtà medica?
“E’ applicabile nel campo dell’assistenza e del volontariato per esempio. Dare affetto e assistenza amorevole a una persona che soffre, ora che lo sappiamo, non è solo un atto di carità, ma anche un atto terapeutico. Donare amore è illuminare la vita. E’ prendere atto che esiste qualcuno attorno a noi per il quale noi siamo estremamente importanti. E’ l’amore che sconfigge le solitudini. Non sappiamo ancora se l’amore funzioni clinicamente in ugual misura quando donato o ricevuto. Questo credo potrebbe venire fuori con la continuazione degli studi. Nella mia esperienza ho osservato anche una diminuzione dell’uso di farmaci. Questo non significa che si assisterà ad un crollo nell’utilizzo di medicinali come la morfina, ma è uno strumento di benessere in più a disposizione dei medici e non solo di loro. Fra l’altro, è anche vero l’opposto. Una situazione di ‘non-amore’ può essere causa di diverse malattie. Si pensi alla psicosomatica, in cui uno stato di disagio emozionale porta ad ammalarsi”.

Esistono altre condizioni che hanno questo effetto oltre all’amore?
“L’amore è uno stato di coscienza alterata e dà questi benefici senza effetti collaterali. Altre condizioni sono l’uso di farmaci, di alcol o di droghe che, però, sono da evitare. Lo stato di coscienza è alterato anche durante il sonno, l’anestesia generale, l’ipnosi o il training autogeno. Si pensi al parto. Il consiglio delle ostetriche è proprio quello di pensare a un luogo che nel nostro vissuto ci abbia dato benessere. Lo stesso per chi cammina sui carboni ardenti. Chi si cimenta in queste prove, prima dello spettacolo, entra in uno stato di trance, cioè di coscienza alterata. Molto più simile all’amore, perché sempre di amore in un certo senso si tratta, è la preghiera recitata con una fede intensa e con il cuore. L’analisi di questa ultima condizione è presa in considerazione ampiamente in un mio libro (‘Dolore ed energia’ – Mattioli Ed., 2004). Secondo diverse religioni anche il rapporto con il trascendente è un rapporto di amore: l’amore verso Dio e l’amore di Dio. Ricordo che nel 2001 il British Medical Journal pubblicava uno studio nel quale si valutavano gli effetti clinici del Rosario e della preghiera tibetana (Mantram) sul ritmo autonomino cardiovascolare. Si poté dimostrare che, durante la preghiera fervida, la frequenza respiratoria si dimezzava, con indubbi vantaggi clinici”.

Pensa che la comunità scientifica accetterà facilmente questo genere di studi?
“Lo studio dei colleghi americani sugli effetti clinici dell’amore è uno squarcio di luce negli oscuri rapporti mente-corpo. Indubbiamente in questi giorni vi è un poco di sensazionalismo e tanta curiosità. Capita quando si danno spiegazioni innovative. Anche Keplero era stato preso per pazzo perché era convinto che le maree dipendessero dalla luna. Poi ci si abituò all’idea che avesse ragione. Certamente da oggi guarderemo all’amore con occhi diversi”.

A cura di Lucrezia Zaccaria

 

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