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Medici in Sudan, nel cuore dell’Africa

06/04/2010

La storia del dott. Settepani, medico volontario in un Centro cardiochirurgico gestito da Emergency.

In un Paese come in Sudan, dove il diritto alla salute stenta ad affermarsi e nemmeno le vaccinazioni di base sono garantite, Emergency riesce a fornire cure e assistenza a centinaia di cardiopatici provenienti da tutta l’Africa. Questo grazie ai medici volontari che operano nel Centro cardiochirurgico Salam costruito a Khartoum, a 20 chilometri dalla capitale. Tra questi il dott. Fabrizio Settepani, aiuto presso l’Unità Operativa di Cardiochirurgia in Humanitas, che ha vissuto questa esperienza di frontiera.

L’ospedale in cui ha operato si chiama Salam Centre: un nome molto evocativo della pace. Che tipo di struttura è?
“Il Salam Centre è un ospedale moderno, curato e ben organizzato. È stato costruito da Emergency in Sudan anche grazie al contributo del Governo locale. Se non fosse per i pazienti molto particolari, sembrerebbe di trovarsi in un centro europeo o americano all’avanguardia. La popolazione dei malati è costituita prevalentemente da bambini affetti da cardiopatie congenite, oppure da pazienti solo un po’ più adulti con malattie acquisite come la cardiopatia reumatica. Pazienti ormai non più comuni per un cardiochirurgo occidentale. Questo avviene perché la principale patologia da cui sono affetti, la valvopatia reumatica, è l’esito della mancata cura febbre reumatica, una malattia infiammatoria tipica dell’infanzia su base batterica, non curata. Mentre nei Paesi sviluppati si interviene tempestivamente, in Africa questa malattia riesce ad arrivare allo stadio cardiaco coinvolgendo prevalentemente la valvola mitriale e la valvola aortica. Inoltre, in Sudan l’età media della popolazione è bassa, intorno ai 45-50 anni. Un paziente di 50 anni viene considerato anziano, al contrario dell’Italia, tant’è che il limite massimo per essere ammessi in ospedale è 65 anni. Oltre a questa età, a causa della scarsità delle risorse, non si ha più diritto di assistenza perché si toglierebbe la possibilità ad una persona giovane di essere curata”.

Che ricordo ha di questi pazienti?
“Una cosa che mi ha colpito molto a Khartoum è che i pazienti ti riconoscono come il dottore che li ha aiutati, li ha probabilmente salvati, e mostrano una riconoscenza incondizionata, facendoti sentire molto affetto. Ho potuto vivere un’esperienza non solo professionale, ma anche e soprattutto umana. E perché no? Mi piacerebbe ripeterla in futuro”.

Che opinione si è fatto di Emergency e di questo tipo di organizzazioni?
“Conoscevo poco le realtà come Emergency o Medici Senza Frontiere e sono rimasto colpito sia dall’organizzazione sia dalle persone che aderiscono a questo progetto. Credo che l’idea alla base sia molto importante, quella di garantire cure sanitarie di alto livello completamente gratuite, in un paese, il Sudan, dove tutti gli altri ospedali sono a pagamento. Il Salam Center è un ospedale regionale aperto a malati di tutta l’Africa, senza distinzione di, religione, etnia, appartenenza politica o provenienza. Si pensi, ad esempio, ai i malati che arrivano dal Chad, stato non proprio amico del Sudan. Inoltre Emergency sta avviando un progetto di medicina di eccellenza in tutta l’Africa, con lo scopo anche di diffondere e radicare la cultura di una sanità gratuita”.

Quale momento ricorda in particolare?
“Sono rimasto molto colpito da una visita che ho fatto in un piccolo ambulatorio pediatrico, ai margini di un campo profughi nella periferia di Khartoum, dove si dice vi siano 500.000 persone provenienti dal Sud Sudan e dal Darfur per fuggire dalla guerra e che vivono in un ammasso di baracche che si estende a perdita d’occhio, in case di sassi e fango, senza acqua né senza elettricità”.

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