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La medicina che viene dalle stelle

02/09/2003

La Commissione di indagine sulla tragedia dello shuttle Columbia precipitato in Texas il 16 gennaio scorso ha stabilito ora, dopo mesi di lavoro, che i sette astronauti avrebbero potuto essere recuperati da un’altra navetta e che la Nasa, in questa disgraziata missione, si è resa responsabile di numerosi errori e leggerezze. Gli uomini e le donne a bordo hanno perso la vita, così come la scienza, soprattutto quella medica, ha perso in parte i risultati degli esperimenti a cui gli sfortunati astronauti si erano dedicati durante i 16 giorni trascorsi sul Columbia. Questo shuttle era, infatti, il primo totalmente dedicato alla ricerca scientifica. Tra l’ottantina di progetti a bordo, nove erano europei e di questi tre erano italiani, e avevano lo scopo di valutare l’adattamento del sistema respiratorio e cardiovascolare in condizioni di micro-gravità. Prima del tragico epilogo gli astronauti avevano trasmesso a terra i dati relativi e non appena la NASA li renderà disponibili, sapremo se anche quest’ultima missione avrà consentito passi avanti nelle conoscenze mediche.

Esperimenti nello spazio
Nello spazio si conducono esperimenti biologici ma anche di fisiologia umana: lo stesso organismo di chi è – o è stato – su un volo satellitare è una fonte di informazioni utilissima al progresso scientifico. E non solo. La più alta tecnologia che consente il lancio, la trasmissione delle informazioni o il tele-monitoraggio dei dati vitali degli astronauti, una volta rientrata alla base, viene puntualmente sfruttata per la messa a punto di innovativi strumenti di diagnosi e cura.

Nuovi farmaci e terapie
Tra i diversi progetti scientifici del Columbia, alcuni riguardavano la coltura in micro-gravità di proteine nella forma più pura finalizzata allo sviluppo di nuovi farmaci; vi erano fiale di cellule del tumore alla prostata utili per la ricerca di nuovi geni legati al cancro e provette piene di batteri da studiare per mettere a punto nuove terapie contro le malattie infettive. A bordo, inoltre, vi erano ratti e topi per esperimenti su come e quanto la gravità incida su cervello e cuore.

La ricerca italiana precipitata con il Columbia
Quattro dei sette astronauti a bordo del Columbia collaboravano con le ricerche italiane, una delle quali avviata dalla Fondazione Don Gnocchi assieme all’Istituto Auxologico Italiano e all’Università di Milano-Bicocca. “Noi siamo stati uno dei tre centri italiani che hanno avuto l’opportunità di sfruttare il sistema ARMS (“advanced respiratory monitoring system”) installato a bordo grazie ad un accordo tra l’Agenzia Spaziale Europea e la NASA (e grazie ad una partecipazione finanziaria dell’Agenzia Spaziale Italiana)” precisa l’ingegner Marco di Rienzo, della Bioingegneria della Fondazione Don Gnocchi e coordinatore del progetto di ricerca “Ognuno ha utilizzato la strumentazione (e il tempo-astronauta) come più gli interessava. Noi per capire la patogenesi dell’ipotensione ortostatica, l’Università Statale di Milano per valutare gli effetti della microgravità sul sistema cardiorespiratorio sotto stress e l’Università romana di Tor Vergata per valutare gli effetti sull’esercizio fisico in generale”.
La malattia di interesse della Don Gnocchi è caratterizzata da capogiri a seguito di cambi di posizione improvvisi che nelle persone anziane o ammalate (ad esempio, diabetici) possono essere seguiti da vere e proprie vertigini o pericolosi svenimenti.
La tragedia ha impedito ai bioingegneri italiani in attesa del rientro del Columbia a Cape Canaveral di sottoporre i quattro astronauti a specifiche indagini mediche ma se le informazioni scientifiche trasmesse a terra, assieme a tutte le altre, fossero di buona qualità e quindi utilizzabili, lo sfortunato equipaggio avrà comunque contribuito al progresso medico.

La tecnologia che viene dallo spazio
A proposito, infine, di tecnologia spaziale replicata a terra, basterà ricordare che le tecniche di body imaging ormai diffuse in ogni ospedale o centro diagnostico ben attrezzato sono nate da quelle utilizzate dai primi astronauti per fotografare la luna. Che la salute di un feto è monitorata con la stessa tecnologia che serve a controllare da terra pressione e battiti cardiaci degli astronauti e, ancora, che l’analisi della densità ossea di chi è a rischio di osteoporosi è ormai un’indagine di routine perché al di là dell’oceano avevano dovuto preoccuparsi di controllare le condizioni dello scheletro degli astronauti costretti a lungo alla sedentarietà. E non è finita. Molti strumenti realizzati per le riparazioni nello spazio hanno ispirato quelli che servono ora negli interventi di microchirurgia e tecniche di imaging sviluppate per l’analisi dei dati dei satelliti con speciali videocamere nate per lavorare a bordo delle navette spaziali servono assieme per tenere sotto controllo i nei e le loro anche minime trasformazioni. Un esame indispensabile nella prevenzione del melanoma.

A cura di M.Cristina Sparaciari

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