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Comunicare per aiutare il paziente

18/11/2004

E’ vero che la comunicazione del medico ha un forte impatto sul paziente e sulla sua reazione alla malattia?

Risponde la dottoressa Emanuela Mencaglia
La comunicazione fra medico e paziente è importantissima. In un momento delicato come quello della malattia, il paziente ha un assoluto bisogno di scambiare informazioni con il proprio medico. Per lui, è fondamentale non solo quello che gli viene detto, ma anche il modo in cui gli viene detto. Ecco perché il medico, dal canto suo, deve imparare modulare la comunicazione in base a chi ha di fronte.
In Italia, a riguardo, negli ultimi 10 anni si sono fatti notevoli progressi. In campo oncologico è nata la Psicologia Oncologia, una branca super-specialistica che si occupa dal punto di vista psicologico del paziente ma anche del medico, e del rapporto fra medico e paziente.
Consideriamo che la nostra è una cultura un po’ particolare: siamo eredi di un atteggiamento paternalistico nel rapporto medico-paziente, in cui il medico era quello che decideva, fino all’ultimo, sul suo paziente, mentre oggi si sta andando verso una decisione terapeutica condivisa, in cui è sottintesa la conoscenza da parte del malato delle sue condizioni cliniche; e spesso i parenti dell’ammalato hanno un atteggiamento molto materno, e si sentono in dovere di sostituirsi ad esso davanti al medico, filtrando le informazioni sulla prognosi. Ma questo non è affatto utile, nella maggior parte dei casi.
E’ importante che il paziente sia a conoscenza di tutto quello che riguarda la sua malattia, nel limite delle sue capacità di comprensione, e per questo motivo è altrettanto importante il modo in cui il medico gliene parla. La comunicazione medica ha infatti un impatto pesante sia sulla reazione del paziente, sia sulla sua collaborazione e, di riflesso a volte, sull’efficacia della terapia. Un paziente che si sente ben assistito dal proprio medico si fida di più, ha meno ansie, dunque affronta meglio la malattia e l’iter terapeutico. Questo, ovviamente, non vale solo per i pazienti oncologici, ma per tutti i pazienti, ed in particolare per quelli cronici, che hanno un lungo iter terapeutico e di controlli da ripetere nel tempo.

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