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Renzo Arbore: la musica aiuta medici e pazienti

14/04/2003

Autore, cantante, conduttore, scopritore di talenti, regista. Renzo Arbore è conosciuto e amato in patria e all’estero. E’ un italiano da esportazione. Ha iniziato la sua carriera alla radio come autore di programmi e il suo debutto risale al 1969 con “Speciale per voi”, il primo talk show televisivo. Ma tante sono le trasmissioni d’avanguardia ideate da Arbore a partire da “Alto gradimento”, “L’altra domenica” e il programma cult degli anni Ottanta: “Quelli della notte”. Partecipa quasi per gioco a Sanremo con la canzone “Il clarinetto”, inizia a fare concerti e parte in tournée, la sua passione per la musica napoletana si realizza con l’Orchestra italiana, con cui registra dischi di successo e gira il mondo tra New York, l’Australia, la Russia, la Spagna e la Gran Bretagna. Il suo ultimo lavoro è una rilettura popolare e jazz delle canzoni degli anni della radio, dello swing italiano dei grandi del passato come Alberto Rabagliati, Natalino Otto e Carlo Alberto Rossi.

Lei si è laureato in Legge e ha poi intrapreso un’altra carriera. Avrebbe mai fatto il medico?
“A dire il vero ho tentato di farlo. Mio padre era medico chirurgo a Foggia, esattamente odontoiatra, e avrebbe voluto che prendessi quella via. Io ho fatto degli ‘esperimenti’: ho frequentato l’ambulatorio per vedere, imparare, appassionarmi a quel lavoro, ma l’idea del sangue mi ha sempre dato fastidio e così ho desistito. Del resto a casa si parlava abitualmente di medicina e con gli amici che la studiavano si affrontava spesso questo tema.”

Quanto sono importanti le canzoni e la musica per un malato?
“La musica conta moltissimo. E’ una grande consolatrice della vita. Penso per esempio ai bambini sordociechi che, nonostante il loro handicap, riescono a sorridere quando percepiscono anche solo qualche vibrazione e hanno la sensazione di avvertire il suono. La musica è una distrazione per le persone sofferenti, è un modo per distogliersi dal dolore. E’ utilizzata anche in anestesia, è un passepartout di benessere. Ho notato inoltre che i medici sono spesso grandi appassionati e cultori della musica. Ho ricevuto sempre molte lettere di dottori che ascoltavano musica forse come metodo per rilassarsi.”

Come si prende cura della sua voce?
“Io curo la voce con l’allenamento. Cerco di cantare appena posso anche le canzoni che non potrei cantare, perché hanno note troppo alte o troppo basse, non adatte alla mia estensione vocale: questo esercizio è formidabile per salvaguardare la voce. Soffro di rinite quindi cerco di non strapazzare lo strumento che mi serve per cantare e ho affinato anche una sensibilità maggiore: la voce che si abbassa è per me sintomo che qualcosa non va; è il segnale, anzi, la spia sonora di un malessere.”

Per un appassionato come lei il jazz è una malattia?
“Sì. Sono stato contagiato e credo di essere ancora infetto. E’ una specie di virus che ti porti dentro. Ogni volta che ascolti questa musica si risveglia in te qualcosa di magico. Mi piace a volte ritrovarmi con gli amici che condividono questa passione solo per parlare di jazz, perché non voglio affliggere quelli che magari non hanno un interesse particolare. Queste conversazioni mi assorbono e mi fanno dimenticare tutto: è come un balsamo benefico mi astraggo e voglio parlare, parlare, parlare. E’ una musica maschile; come dice Paolo Conte in una sua celebre canzone ‘le donne non amano il jazz’.”

Che cosa dobbiamo aspettarci dalla medicina del futuro?
“A mio parere la scienza non deve essere contrastata, va da sola. Le teorie possono ritardarne l’applicazione pratica, ci sono regole naturali nel bene e nel male. Per esempio le donazioni e l’utilizzo di cellule staminali, se opportunamente disciplinati, possono giovare all’umanità e non credo possano esserci controindicazioni morali. Io penso che alcune conquiste serie non possono essere ignorate.”

Conserverebbe le cellule immortali dei grandi uomini? Di chi per esempio?
“Certo che le conserverei. Immagino che tra cento anni esisterà anche questa disciplina. Non metto limiti alla scienza e spero che si continui nella ricerca. Menti superiori di alcuni grandi che hanno contribuito alle scoperte scientifiche e a debellare certe malattie credo valgano la pena di essere conservate. Si potrebbero conservare le cellule di un bravo artista come potevano essere Michelangelo e Leonardo, oppure di un musicista come Bach, Mozart o Beethoven. Oppure personalità come Vittorio Gassman, colto e intelligente, tra le poche persone capaci di coniugare l’alto con il basso, il teatro antico con il cinema e la poesia. Alcune cellule di personaggi del secolo andrebbero custodite perché altri possano imparare e scoprire il segreto dell’ingegno e di tanta bravura.”

Ritiene che il talento si erediti?
“Il talento si eredita parzialmente; dipende molto anche dal terreno di cultura, dall’ambiente dove si cresce. Inoltre il talento deve essere alimentato. Per metà si conquista e per metà si coltiva. Si deve molto ascoltare, molto leggere, apprendere dagli incontri. Per i bambini è molto importante maturare in una situazione sociale stimolante. Per quanto mi riguarda io sono vissuto in una ‘famiglia musicale’: si ascoltava musica, si parlava di arte e questo background è per così dire entrato nel mio Dna.”

Cosa l’attende prossimamente: la televisione oppure un nuovo tour musicale?
“Vorrei occuparmi di musica e sarò impegnato in una nuova tournée nazionale e internazionale; come presidente di Umbria jazz vorrei portare a San Francisco il nostro modo di suonare.
Per la televisione vorrei trovare una nicchia per fare un programma che mi appassioni senza fare i conti con le regole commerciali e dell’audience, che deprimono la tv d’autore. Ho nel cassetto idee originali e rivoluzionarie che potrebbero cambiare le coordinate dei palinsesti attuali.”

A cura di Alessandra Capato

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