Stai leggendo Come difendersi dal vaiolo

Magazine

Come difendersi dal vaiolo

22/10/2001

Peste, carbonchio, vaiolo. Antichi incubi e morbi sconfitti decenni orsono dalla medicina ufficiale ritornano prepotentemente a scuotere le nostre coscienze e ad invadere le prime pagine dei giornali. Abbiamo chiesto un parere al prof. Nicola Dioguardi, Direttore Scientifico di Humanitas ed uno dei massimi esperti di medicina interna a livello mondiale.

Prof. Dioguardi, cosa sta succedendo?
“La mia idea è che le bestie non siano così bestie come si pensa. E’ molto più bestia l’uomo”.

Come’è possibile che malattie già ritenute sconfitte destino una così grande paura?
“La paura esiste perché è legata all’imprevedibilità, alla guerra e agli attacchi terroristici. Mi sembra che le istituzioni si siano preparate ed organizzate adeguatamente. Per esempio, nel caso del vaiolo sono già pronte 5 milioni di dosi ed allertati i centri dedicati all’innesto. A questo punto sarebbe opportuno non aspettare che scoppi il bubbone e provvedere alla vaccinazione antivaiolosa delle persone nate dopo il 1979, anno in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità rilevò la scomparsa del vaiolo dal nostro pianeta e giudicò non più indispensabile la vaccinazione antivaiolosa”.

E per quanto riguarda le persone vaccinate molti anni fa?
“E’ possibile che una persona vaccinata da tempo perda l’immunità ma sicuramente è meno a rischio di chi non è mai stato vaccinato, quindi a mio parere, bisogna dare la priorità ai bambini e ai ragazzi mai vaccinati che sono assolutamente privi di ogni difesa.”

Prof. Dioguardi, vaccinarsi è pericoloso?
“Le incertezze sull’utilità del vaccino durano da più di due secoli, da quando Edward Jenner, padre della moderna vaccinazione pubblicò i suoi studi sulle cause e gli effetti del vaiolo nelle vacche Jenner osservò che le persone guarite dalla forma bovina della malattia, non si ammalano del più pericoloso vaiolo umano. Provò quindi a mettere a contatto della scarificazione prodotta sulla pelle dell’uomo il materiale purulento prelevato dalle pustole delle mammelle delle vacche infette ed ottenne la protezione dalla malattia. Questa fu la prima vaccinazione, nata da una brillante osservazione empirica che aprì le porte ad una delle scoperte scientifiche più importanti del secolo”.

Cosè il vaccino oggi?
“Per noi oggi la vaccinazione è una metodica comune per proteggersi dalle malattie infettive. In pratica si introducono nell’organismo virus e batteri per stimolare il sistema immunitario alla produzione di anticorpi verso una determinata malattia. La protezione però funziona una volta trascorso il cosiddetto “periodo finestra”. Questa fase varia secondo il tipo di vaccino e le reazioni dell’organismo della persona vaccinata. Dopo aver inoculato il vaccino, gli anticorpi già presenti scompaiono e l’organismo non è in grado di produrne subito di nuovi. La vaccinazione è sconsigliata durante le epidemie perché nel periodo finestra l’individuo vaccinato è privo temporaneamente delle difese immunitarie. Per questo le vaccinazioni devono essere eseguite prima di ogni epidemia. L’effetto finestra è poi destinato ad allargarsi quando ci si sottopone a più vaccinazioni”.

A suo parere, altri virus o batteri potrebbero essere resuscitati per scopi bellici?
“Tutti in teoria, ma ci vogliono laboratori, tecnici capaci e molti soldi per produrre il materiale infettante. Non è davvero facile allestire ex novo un laboratorio con queste caratteristiche anche perché è difficilissimo gestire i rischi di autoinfezione. Nella seconda metà del secolo scorso erano attivi laboratori per scopi bellici, poi la fabbricazione di queste armi è stata proibita dalla comunità internazionale. Penso che più per motivi umanitari, siano stati chiusi peché l’utilizzo di batteri e virus nel caso di un conflitto poteva arrecare gravi danni non solo all’aggredito ma anche all’aggressore. La diffusione con aerei di questi materiali non è assolutamente controllabile a causa del vento e di altri agenti che possono cambiare la destinazione e quindi colpire l’assalitore invece dell’obiettivo militare. Per fortuna, per motivi utilitaristici più che tecnici, si è posto uno stop a questa folle metodologia di combattimento”.

Che ne è stato dei vecchi laboratori?
“Non ne abbiamo più notizie, di sicuro buona parte del materiale stoccato è stato conservato per motivi a dir poco loschi. Non credo che il carbonchio usato dai terroristi sia stato prodotto ad hoc, più semplicemente penso si tratti di materiale residuo di qualche vecchio deposito in disarmo. Uno di questi è stato identificato anche in suolo USA. E’ certo che uno stock di sostanze sia stato venduto ai terroristi da qualche mediatore senza scrupoli”.

Che ruolo può giocare l’informazione in questa guerra combattuta a colpi di virus e batteri?
“L’informazione è utile per difendersi quando è semplice e chiara. Conoscere bene i sintomi, permette, nella stragrande maggioranza dei casi, di battere le malattie in questione. Il pubblico va dunque informato a scopo prudenziale anche quando esiste solo una piccolissima probabilità di aggressione batteriologica”

a cura di Walter Bruno

Bioterrorismo e salute
In archivio:
Antrace, un bacillo nel mirino
Se lo conosci lo eviti

Articoli che potrebbero interessarti

Non perderti i nostri consigli sulla tua salute

Registrati per la newsletter settimanale di Humanitas Salute e ricevi aggiornamenti su prevenzione, nutrizione, lifestyle e consigli per migliorare il tuo stile di vita