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Bellato: combattere il dolore con una terapia mirata

08/07/2008

Convivere con il dolore. Artrite reumatoide, artropatie degenerative osteo articolari, Herpes Zoster, patologie vascolari, neuropatie diabetiche, cefalee, fibromialgie, low back pain (mal di schiena): molte malattie sono caratterizzate da un dolore che non passa mai. Alleviarlo si può e si deve. Molti sono i farmaci e le tecniche che la medicina moderna mette a disposizione del malato in caso di dolore cronico di media ed elevata intesità. In determinati casi, inoltre, si può ricorrere alla medicina integrata: agopuntura, omeopatia, fitoterapia. Per offrire al malato tutti i mezzi disponibili per poter vivere una vita senza dolore. Inizia qui un dossier che si occupa del dolore cronico e delle armi che il terapista del dolore ha a sua disposizione per combatterlo. Ne parliamo con la dott.ssa Valentina Bellato, responsabile di Medicina Perioperatoria, Terapia Subintensiva e Terapia del dolore all’interno del Dipartimento di Anestesia e Terapia Intensiva Generale dell’Istituto Clinico Humanitas diretto dal dott. Giovanni Bordone.

Il dolore
“Secondo la definizione della IASP – International Association for the Study of Pain – il dolore è ‘una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata ad un danno tessutale reale o potenziale e descritta in termini di tale danno’. L’ultima parte della definizione si riferisce, ad esempio, alla sintomatologia dolorosa che può presentarsi dopo l’amputazione di un arto (la sindrome dell’arto fantasma) o dopo lesione post traumatica o postoperatoria di nervi o gruppi di nervi, a seguito delle quali il dolore, con caratteristiche del tutto particolari e ormai in assenza del danno originario, può diventare malattia a sé.
Cronico si definisce il dolore che duri più di tre mesi, con terapia adeguata. Di fatto il dolore è cronico quando, nonostante una diagnosi corretta e un’idonea terapia, non abbandona ilpaziente. Molte sono le malattie che comportano per il paziente un dolore cronico importante: artrite reumatoide, artrosi, lombosciatalgie, crolli vertebrali, nevralgie, patologie erniarie, cefalee, patologie vascolari, neuropatie diabetiche, Herpes Zoster… Non è difficile immaginare quanto sia compromessa la qualità di vita di un paziente affetto da dolore cronico e quali ne siano i suoi effetti devastanti, oltre al dolore: disabilità, isolamento, depressione, stress”.

Il terapista del dolore
“La categoria degli Anestesisti Rianimatori – che ha assunto come massima: ‘Pro vitam contra dolorem, semper’ – è in prima linea nel campo della terapia del dolore. Questi specialisti praticano le anestesie loco-regionali e conoscono i farmaci, sono in grado di prevederne e prevenirne gli effetti collaterali, a volte anche gravi, utilizza gli anestetici e quindi anche gli analgesici.
Inoltre l’Anestesista/Terapista del dolore, coadiuvato in ciò dagli infermieri, rileva l’intensità del dolore in vari modi. Soprattutto nel dolore post-operatorio, ma in generale in tutti i tipi di dolore, vengono utilizzate due misure che si chiamano VAS (scala analogica visiva) e NRS (scala numerica verbale) che sono utili per determinare una corretta impostazione della terapia farmacologica ottimale.
Il moderno terapista del dolore non si limita solo alla cura del dolore, ma cerca di capirne a fondo le cause. Il primo passo da fare è, infatti, giungere a una diagnosi corretta, perché solo così si può intraprendere una terapia efficace del dolore. Il terapista del dolore, in questo, si avvale della consulenza di altri specialisti quali neurologo, radiologo, fisiatra e psicologo”.

I farmaci
“La medicina mette a disposizione moltissimi strumenti farmacologici per combattere il dolore e per ridare al paziente una qualità di vita accettabile.
Le due principali categorie di farmaci che vengono utilizzati nella terapia del dolore sono gli antinfiammatori non steroidei (Fans) e gli oppioidi (ad esempio la morfina), presenti in varie formulazioni e dosaggi. Si tratta di farmaci che agiscono sul dolore in maniera diversa.
I Fans posseggono proprietà antinfiammatorie, analgesiche e antipiretiche e agiscono attraverso la soppressione di una delle vie di trasmissione del dolore. Trattano un certo tipo di dolore, il dolore somatico che origina dalla stimolazione nocicettiva e si riscontra nella maggioranza dei dolori (traumatici, infettivi, degenerativi) dove la compressione, l’infiammazione, la stimolazione meccanica e la distensione sono responsabili della partenza degli impulsi periferici.

Gli oppioidi, che in passato venivano usati solo in caso di dolore severo e che oggi vengono invece utilizzati anche per dolori di media entità, vengono impiegati sempre più nella terapia del dolore. Ad esempio gli oppioidi vengono usati sempre più spesso nel post-operatorio, perchè provare dolore è inutile e dannoso. Il dolore provoca stress, complicanze, depressione e allungamento dei tempi di guarigione. I diversi oppioidi (che vengono classificati in due classi: deboli e forti) sono efficaci in diversi tipi di patologie e possono essere utilizzati anche come prima scelta. La somministrazione di oppioidi nei pazienti con dolore cronico trova ancora molte resistenze da parte di medici di base e farmacisti, a causa di pregiudizi che riguardano gli effetti collaterali, come nausea, stipsi, sedazione e la possibilità di assuefazione, malgrado il rischio di assuefazione sia stimato in meno di 1 su 20.000 pazienti. Contro i falsi miti sulla terapia del dolore e sull’utilizzo della morfina sono state messe in atto numerose campagne di sensibilizzazione promosse dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Nella terapia del dolore vengono utilizzati anche gli steroidi (come il cortisone) che posseggono qualità antinfiammatorie e riducono l’edema (accumulo di liquidi nei tessuti lesi), che può essere causa di dolore. Anche i farmaci antiepilettici, gli antidepressivi e altri trovano applicazione in questo campo: alcuni tipi di dolore sono assimilabili all’epilessia, trattandosi di una scarica dolorosa continua, tipica ad esempio di alcuni dolori neuropatici”.

Gli altri trattamenti
“Il terapista del dolore ha a disposizione, oltre che farmaci, anche determinate tecniche più invasive che consentono di alleviare il dolore.
I blocchi selettivi dei nervi, che vengono effettuati con l’iniezione di anestetico locale nel nervo oppure attraverso l’applicazione di un catetere che rilascia continuamente piccole dosi di anestetico, consentono di effettuare una sorta di sedazione nervosa che può alleviare il dolore di una spalla, ad esempio, o di un ginocchio. La scelta tra i due trattamenti dipende dalla sede e dalla gravità della patologia oltre che dalle necessità del malato. Attualmente si può disporre di una vasta gamma di anestetici locali per effettuare blocchi nervosi specifici per il dolore da trattare.
Si possono utilizzare altri tipi di infiltrazioni ripetute, meno profonde di quelle appena descritte, per agire sui cosiddetti “trigger”, zone cutanee estremamente reattive, che possono essere anche distanti dal luogo di origine del dolore. Bloccando con un anestetico locale il ‘trigger point’ si riesce a ottenere un miglioramento del quadro doloroso, tipicamente fibromialgie e lombosciatalgie.

Un farmaco nuovo e molto costoso, lo ziconotide, estratto da un mollusco marino, viene somministrato al paziente per via intra-tecale o spinale per ottenere un’analgesia totale in caso di dolori generalizzati molto severi, refrattari a tutti gli altri trattamenti. Sempre per via intra-tecale, possono essere somministrati altri farmaci e anestetici.
Si può poi ricorrere alla iontoforesi: l’applicazione di una campana che contiene un farmaco liquido che viene assorbito sistemicamente. Si tratta di un trattamento utilizzato in caso di dolore localizzato.
La ‘scrambler therapy’ si basa su una particolare neurostimolazione utile in caso di neuropatie e patologie ischemiche agli arti inferiori. Ci si avvale di un piccolo ma potente computer multiprocessore (appositamente progettato), capace di simulare cinque neuroni artificiali in grado di inviare dei segnali che vengono identificati dal sistema nervoso centrale come di ‘non dolore’. Le ‘informazioni scrambler’ possono essere veicolate tramite elettrodi di superficie (a contatto delle pelle) nelle fibre nervose interessate alla produzione o alla trasmissione del segnale dolorifico, sovrapponendosi allo stesso e sopprimendolo. In pratica, al posto del segnale dolorifico, intercettato e neutralizzato nel suo percorso ascendente, il cervello riceve un finto segnale di ‘non dolore’. Uno dei vantaggi di questa tecnica è che non comporta assuefazione e nel tempo, in seguito ad uso intensivo, aumenta la soglia del dolore.
L’IVRA, infine, è un’analgesia praticata per via endovenosa che utilizza anestetico locale a dosaggi molto ridotti, di solito lidocaina. Permette di ottenere un’analgesia, ad esempio, nelle sindromi dolorose di tipo complesso causate da traumi o patologie ischemiche”.

A cura di Elena Villa

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