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Ricerca, ecco le cellule staminali prodotte su misura

04/02/2014

 

Cellule staminali pluripotenti indotte. È questo uno dei filoni di ricerca biomedica tra i più avanzati, che lo scorso anno è valso il Premio Nobel per la Medicina allo scienziato britannico John Gurdon e al giapponese Shinya Yamanaka, i quali, per vie diverse, hanno scoperto come realizzare questa singolare tipologia di cellule: staminali molto simili a quelle embrionali, ma create in laboratorio partendo da cellule adulte e agendo su specifici geni.

 

La possibilità di ricreare la malattia in provetta

Come può questa tecnica essere di immediato impiego clinico? È presto detto. «Quando arriva un paziente con un problema al cuore – spiega il professor Gianluigi Condorelli, responsabile dell’Area di Ricerca Cardiovascolare di Humanitas Rozzano e docente dell’Università degli Studi di Milano –, i suoi cardiomiociti, le cellule costitutive del muscolo cardiaco, non possono essere studiate per verificare la presenza di una malattia. Bisognerebbe eseguire una biopsia e, se anche si riuscisse a farla, le cellule sopravvivrebbero molto poco in coltura. Usando la tecnica per produrre cellule staminali pluripotenti indotte, invece, possiamo estrarre cellule adulte dalla pelle o dal sangue, farle ritornare bambine (cioè staminali) alterando l’espressione di un piccolo gruppo di geni e a quel punto farle maturare nuovamente indicando loro la direzione in cui farlo: quella di cellula cardiaca, che avrà tutte le caratteristiche genetiche responsabili della malattia. In tal modo, in pratica, riusciamo a creare un modello della malattia in provetta. Si tratta di uno strumento utile per fare diagnosi, ma anche per testare nuovi farmaci».

 

Il futuro: una carta d’identità genetica con cui prevedere le malattie

Un simile approccio non sarebbe stato possibile appena 15 anni fa. «In questo breve lasso di tempo, non abbiamo solo imparato a far regredire allo stadio embrionale le cellule adulte – prosegue il cardiologo milanese –. Sono anche aumentate le capacità di sequenziamento del genoma umano, un codice costituito da oltre 3 miliardi di mattoni, di cui però solo l’1,5% contiene informazioni che si esprimono attraverso la produzione di specifiche proteine».

Il resto serve soprattutto a regolare l’attività di questa piccola frazione. Questo straordinario avanzamento farà sì che nel volgere di alcuni anni ognuno di noi avrà una carta di identità genetica attraverso cui si potrà identificare la predisposizione o la presenza di precise malattie determinate dai geni.

«In Humanitas stiamo applicando questa tecnica alle cardiomiopatie primitive, patologie che dipendono dal nostro patrimonio genetico – prosegue Condorelli –, e che oggi possiamo diagnosticare proprio grazie agli avanzamenti nella capacità di sequenziamento del genoma umano».

 

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A cura di Simona Camarda

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