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Cervello, ecco il neurone artificiale

29/06/2015

Un neurone artificiale in grado di comportarsi come una cellula naturale. Il Karolinska Institutet in Svezia ha creato un neurone “di plastica” capace di ricevere segnali chimici e trasmettere impulsi elettrici. Questo processo di comunicazione è di fondamentale importanza: quando si interrompe, possono sorgere gravi patologie come la malattia di Parkinson o l’epilessia.

Ecco l’importanza della scoperta, sebbene siano necessarie ulteriori ricerche prima di un eventuale impiego clinico del neurone artificiale. Oggi, nei trattamenti dei disturbi neurologici, la stimolazione è esterna all’organismo. Si tratta di una pratica che però interferisce con l’attività delle cellule nervose dell’area interessata ancora funzionanti.

Come avviene la comunicazione tra neuroni? Rispondono il professor Alberto Albanese, responsabile di Neurologia I di Humanitas, e la professoressa Michela Matteoli, direttore dell’Istituto italiano di Neuroscienze del CNR e del Programma di neuroscienze in Humanitas.

«Le membrane dei neuroni sono caratterizzate da un potenziale elettrico che varia continuamente sulla base dei segnali ricevuti e, quando raggiunge una soglia critica di voltaggio, “accende” l’intera cellula causandone la depolarizzazione. La comunicazione tra un neurone e l’altro avviene poi principalmente attraverso la liberazione di neurotrasmettitori, sostanze chimiche che modulano il segnale trasmesso da una cellula all’altra», spiega il professore.

«I neuroni possiedono recettori, che “sentono” il neurotrasmettitore proveniente dalle cellule circostanti, e organelli specializzati, le vescicole sinaptiche, che permettono il rilascio del neurotrasmettitore endogeno, in risposta allo stimolo ricevuto», aggiunge la professoressa Matteoli.

«Le terapie neurologiche correnti intervengono modificando la trasmissione chimica (si tratta in genere di farmaci) o modulando l’attività elettrica (pacemaker cerebrali)», sottolinea il professore.

Quali sono gli aspetti innovativi del neurone artificiale?

«I ricercatori svedesi sono riusciti per la prima volta a combinare dei biosensori amperometrici con delle pompe ioniche organiche in modo da realizzare un “neurone artificiale” in grado di tradurre segnali chimici in elettrici e di nuovo in chimici», risponde il professor Albanese.

«Questo sviluppo scientifico – continua – è paragonabile a quello negli anni ’50 del cuore artificiale in materiali polimeri che ha rivoluzionato la cardiologia. La scoperta svedese implica una conoscenza profonda dei meccanismi di funzionamento dei neuroni e offre la possibilità di creare una macchina artificiale che ne riproduca le funzioni».

Come potrebbe essere impiegato il neurone artificiale?

«Il prototipo ha capacità limitate poiché misura variazioni di concentrazione solo di glutammato o acetilcolina e genera il rilascio di sola acetilcolina», risponde il professore.

«Un’importante potenzialità, tuttavia, è data dal fatto che la parte che percepisce la variazione chimica, può essere posizionata a una distanza arbitraria dal punto di rilascio dell’acetilcolina, consentendo così di ipotizzare l’impianto di sistemi intelligenti che reagiscano a variazioni biochimiche in un’area cerebrale e causino liberazione selettiva di neurotrasmettitori in un punto diverso, anche distante, del sistema nervoso».

«Siamo ancora lontani dall’elevata complessità del neurone biologico – conclude il professore – ma cominciamo a intravedere la possibilità di impiantare sistemi molto più complessi di quelli disponibili finora».

D’accordo la professoressa Matteoli: «Anche se una serie di limitazioni impedisce l’utilizzazione del dispositivo nella sua attuale struttura, certamente questo avanzamento tecnologico può aprire a nuove utilizzazioni terapeutiche, soprattutto nel campo delle malattie neurodegenerative, in cui si assiste alla morte di particolari popolazioni neuronali».

«Teniamo tuttavia presente che una delle principali caratteristiche del neurone è quella di andare incontro al processo di plasticità sinaptica: il neurone infatti è capace di variare la quantità di neurotrasmettitore rilasciato, di formare nuove stazioni di rilascio (le sinapsi) e di eliminarne altre, sulla base degli eventi precedenti. Questa flessibilità di funzionamento – conclude – è ancora ben lontana dall’essere riprodotta da un dispositivo bioelettronico».

 

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