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Il mistero delle malattie autoimmuni

05/03/2002

Le singole malattie autoimmuni sono rare, ma affliggono un numero considerevole di persone. Ne parliamo con il dott. Giovanni Covini, specialista in medicina generale ed epatologia in Humanitas.

Cosa sono le malattie autoimmuni?
“Prima di parlare di malattie autoimmuni, bisogna spiegare cos’è e come funziona il sistema immunitario.Si tratta di un complesso circuito di organi e cellule specializzate che ha la funzione di aggredire tutto ciò che viene considerato estraneo dall’organismo, sia che si tratti di virus, batteri, funghi, sia di cellule proprie “impazzite”. Il sistema di difesa si sviluppa, dalla nascita in poi, di pari passo con la crescita dell’organismo e “impara” a riconoscerne i tessuti classificandoli come propri. Ciò significa che impara a tollerarli: tecnicamente si dice che riconosce il “self” (termine inglese usato per “proprio”), processo che gli permette di non auto-aggredire il suo stesso organismo. Nel caso delle malattie autoimmuni, il sistema immunitario “impazzisce” e, non riconoscendo più i propri tessuti, li attacca. Un fenomeno analogo, forse più conosciuto, che aiuta a capire meglio questo meccanismo è il rigetto dell’organo trapiantato. Infatti, in tali circostanze, il sistema immunitario “bolla” la nuova parte come non-self, e si attiva per aggredirla e distruggerla”.

Da cosa è scatenata la malattia autoimmune?
“Ancora non si conoscono con esattezza le cause. Si sono formulate varie ipotesi. Tra le più probabili, l’esistenza di una predisposizione genetica che, fattori scatenanti come agenti chimici, virus, batteri o raggi UV, trasformano in malattia. Questa teoria genetica, è suffragata dall’osservazione che, tra fratelli gemelli, se uno dei due è colpito da malattia autoimmune, anche l’altro si può ammalare nel venti percento dei casi”.

Come si manifestano le malattie autoimmuni?
“Ogni singola malattia ha caratteristiche proprie, tuttavia si possono individuare sintomi comuni a tutti i disturbi immunologici. Tra questi il senso di stanchezza, la presenza di febbricola (qualche lineetta al di sopra del normale), dolori alle articolazioni. Le malattie autoimmuni sono rare e in genere si arriva a riconoscerle dopo un lungo iter diagnostico, a volte dopo aver consultato numerosi specialisti. Dal punto di vista medico, è molto importante effettuare una anamnesi approfondita, cioè indagare con attenzione la storia clinica e familiare del paziente. Una volta che si sia raggiunto un sospetto clinico, al fine di confermarlo o smentirlo si richiedono le analisi di laboratorio specifiche. L’esame cardine per arrivare alla diagnosi è la ricerca, nel sangue dei pazienti, degli autoanticorpi. A differenza degli anticorpi normali, che hanno la funzione di aggredire agenti patogeni esterni o strutture interne “difettose”, gli autoanticorpi reagiscono contro il “self”, contro le proprie cellule normali. Gli autoanticorpi si dividono essenzialmente in due gruppi. Quando sono specifici contro un singolo tipo di tessuto, per esempio contro le cellule tiroidee, determinano malattie circoscritte a quell’organo, perché in grado di interagire solo con determinate particelle. Quando invece sono diretti contro il nucleo delle cellule, causano, in genere, malattie sistemiche, cioè estese a tutto l’organismo, perché tutte le cellule possiedono un nucleo: è questo il caso del lupus eritematoso sistemico o LES, una tra le più emblematiche malattie autoimmuni.

Quindi, questi anticorpi “deviati”, aggredendo strutture sane dell’organismo determinano la malattia?
Il meccanismo patogenetico, quello cioè che determina la malattia, non è ancora del tutto noto. All’azione tossica di alcuni linfociti, che sono cellule del sistema immunitario, si aggiunge l’insorgenza di processi infiammatori che concorrono a determinare le lesioni a carico dei diversi organi. Mancano alcuni anelli che spieghino il ruolo degli autoanticorpi. Infatti non tutti sono in grado di arrivare alla struttura contro la quale sono programmati: nel caso degli anticorpi anti-nucleo, per esempio, essi non riescono a penetrare nella cellula, e, di conseguenza, non possono entrare in contatto con il nucleo, che si trova al suo interno. Per quello che si sa adesso, gli autoanticorpi sono marcatori diagnostici, nel senso che la loro presenza è segno della malattia. Si presume che agiscano unitamente ad altri agenti del sistema immunitario, quali i linfociti citotossici, che vanno ad aggredire l’organo bersaglio.

 

Per arrivare alla diagnosi, allora, è importantissimo il supporto degli esami di laboratorio?
Indubbiamente si. Ogni malattia immunologica ha i suoi specifici autoanticorpi. Il laboratorio, fornendo una risposta corretta, guida il medico verso la giusta diagnosi. Questi marcatori sono stati scoperti circa quarant’anni fa e ricercarli non è molto semplice. Le tecniche utilizzate sono particolari perché, seppure semplici da effettuare, si rivelano legate all’abilità e all’esperienza di chi deve interpretarne i risultati. Ancora si lavora per metterle a punto.

Quali sono le malattie autoimmuni più diffuse?
Parlando di patologie che interessano un singolo organo o apparato, tra le più frequenti si possono ricordare il diabete mellito di tipo I e le tiroiditi autoimmuni. Nel caso di malattie sistemiche, di malattie che cioè riguardano più di un organo, le più comuni sono il lupus eritematoso sistemico, l’artrite reumatoide e la sclerosi sistemica. Spesso si manifestano in modo chiaro, univoco; altre volte evidenziano sintomi misti, tanto che è stata definita la connettivopatia mista, che si caratterizza per una compromissione multi-organo e che riconosce segni di più malattie autoimmuni. In genere, le malattie di un singolo organo si possono controllare più facilmente rispetto a quelle sistemiche, in quanto, per curarle, è sufficiente neutralizzare uno o pochi eventi negativi. La somministrazione d’insulina permette al paziente con diabete mellito di tipo I una vita normale, anche se a lungo andare possono presentarsi complicazioni. Nelle tiroiditi autoimmuni, di cui la più frequente è la tiroidite di Hashimoto, una pastiglia sopperisce alla mancata funzionalità dell’organo .Il LES, invece, può causare anemia, pericarditi e pleuriti (infiammazione delle membrane che avvolgono il cuore e i polmoni), problemi renali e cutanei (dalla caratteristica lesione a farfalla che compare sul volto, il nome della malattia). È comprensibile come sia più difficile far fronte a tali e tanti attacchi. Anche curare l’artrite reumatoide, patologia che colpisce le articolazioni, può essere complicato: la forma giovanile, ad esempio, risponde poco alla terapia. La sclerosi sistemica può determinare importanti danni a livello renale, difficoltà nella deglutizione con disturbi generalizzati all’apparato gastroenterico, l’ispessimento dei tessuti del viso che perdono capacità espressiva, la cosiddetta faccia a maschera.

A che età si manifestano in genere?
Tutte le malattie immunologiche, sono più frequenti nel sesso femminile: tendono a colpire maggiormente le donne in età fertile. Questo fa supporre che, oltre ai tratti genetici predisponenti di cui si parlava prima, nella genesi di queste patologie giochino un ruolo importante anche fattori ormonali.

Come si cura una malattia autoimmune?
Si tratta purtroppo di patologie ad andamento cronico e quindi, per definizione, progressive. L’obiettivo del medico dev’essere quello di tenerle sotto controllo. Si caratterizzano per l’alternarsi spontaneo di momenti di riaccensione e di remissione. La terapia si basa sempre sull’utilizzo di farmaci ad azione immunosopressiva, capaci cioè di inibire l’azione del sistema immunitario, che in questo caso è dannosa. Durante le fasi di quiescenza, si seguono regimi terapeutici a basso dosaggio. È importante controllare sempre il paziente perché, al momento del riavvio della malattia, bisogna esser pronti ad intervenire con terapie più robuste. Il farmaco capostipite è il cortisone. Una novità terapeutica è rappresentata dall’uso degli anticorpi monoclonali. Si tratta di particolari anticorpi, prodotti in laboratorio, che hanno la caratteristica di essere indirizzati contro un’unica specifica parte di tutto un bersaglio e, per ciò, in grado di colpire con la massima precisione. Rappresentano una delle nuove frontiere della terapia a tutto campo. Nel caso delle malattie in questione, vengono utilizzati per neutralizzare l’azione di alcuni mediatori chimici, le citochine, che a livello dei tessuti promuovono l’insorgenza dei processi infiammatori. Sono proprio i meccanismi dell’infiammazione a provocare le conseguenze più dannose: controllandoli, riusciamo a tenere a bada la malattia.

Quali sono gli specialisti che più si occupano di queste malattie?
L’immunologo, il reumatologo e l’internista sono i medici che si occupano delle forme a carattere sistemico, di quelle cioè che interessano l’organismo in modo più o meno diffuso. Mentre nei casi in cui siano colpiti singoli organi o apparati, la competenza passa allo specialista del caso.

A cura di Giorgia Diana

Humanitas Salute e le malattie autoimmuni
Quando il sistema immunitario impazzisce

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