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Malaria, la resistenza ai farmaci è colpa di un gene

22/04/2015

Un gruppo di ricercatori dell’università americana di Notre Dame ha identificato il meccanismo alla base della resistenza all’artemisinina, il principio attivo più nuovo entrato nel trattamento della malaria. La resistenza a questa molecola è stata confermata per la prima volta nel 2008 tra Cambogia e Thailandia e successivamente in altri tre Stati del Sud est asiatico (Laos, Vietnam, Birmania), accreditandosi come una vera e propria emergenza per le autorità sanitarie internazionali.

Studi precedenti avevano scovato i geni associati alla resistenza del Plasmodium falciparum, uno dei parassiti della malaria, senza però riuscire a spiegare come questa potesse svilupparsi. I ricercatori hanno osservato dei mediatori lipidici presenti in maggior quantità nelle specie di parassiti resistenti all’artemisinina. Questi sono prodotti da un enzima la cui azione viene inibita dal principio attivo antimalarico. La presenza dell’enzima è regolata a sua volta da un gene che, se mutato, alza i livelli dell’enzima e di conseguenza dei mediatori lipidici: in definitiva, aumenta la capacità del parassita di resistere all’artemisinina.

Il ruolo chiave di questi lipidi è stato confermato in alcune sperimentazioni condotte sui parassiti che non presentavano il gene mutato: se i livelli dei mediatori lipidici venivano artificiosamente innalzati, si rafforzava la resistenza dei parassiti. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Nature.

«Si tratta di un lavoro molto importante dal momento che identifica il bersaglio molecolare dell’artemisinina e spiega il meccanismo della resistenza dei parassiti, spiega il professor Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e docente di Humanitas University. Il prossimo obiettivo dei ricercatori è sviluppare inibitori dell’enzima resistente ovvero scoraggiare la formazione dell’enzima medesimo. «Si cercherà – continua – di definire un nuovo farmaco inibitore che possa funzionare anche nei confronti di questo enzima mutato. È un obiettivo realistico se guardiamo ai traguardi che la ricerca ha raggiunto, ad esempio, nella lotta alla leucemia».

 

L’artemisina è da sempre usata nella medicina cinese

«L’artemisinina – aggiunge lo specialista – ha contribuito enormemente alla lotta contro la malaria migliorandone le terapie. È un principio attivo derivato dall’artemisia, una pianta nota nella medicina tradizionale cinese. La scoperta dell’artemisina risale alla guerra del Vietnam quando il Paese asiatico si rivolse alla Cina per limitare le perdite di soldati causate dalla malaria ed è opera della ricercatrice cinese Tu Youyou».

«Insieme a quella contro l’Hiv e la tubercolosi, la lotta alla malaria rappresenta una delle grandi sfide della medicina. La malaria è un vero e proprio flagello in termini di costi in vite umane, tra cui moltissimi bambini», conclude il professor Mantovani. Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità sulla malaria, nel 2013 ci sono stati circa 198 milioni di casi di malaria. Tuttavia, tra il 2000 e il 2013, l’incidenza della malattia è stata abbattuta del 30% e la mortalità del 47%.

 

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