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Prevenzione

Mamma leggimi una storia, così imparo a parlare

22/01/2015

Sin dai primi anni di vita dei loro bambini, molti genitori nutrono delle preoccupazioni per lo sviluppo del linguaggio e, sempre più spesso, sono allarmati da un ritardo nella comparsa delle prime parole.

Se un bambino di 30-36 mesi non ha le competenze linguistiche che ci si aspetterebbe per quell’età, non si può ancora parlare di un disturbo di linguaggio, bensì di un bambino parlatore tardivo (late talker).

Chi sono i late talkers?

I late talkers, così definiti dal mondo anglosassone, sono bambini che, con appropriate stimolazioni linguistiche, potrebbero risolvere spontaneamente il problema del “parlare tardi” oppure manifestare in seguito un disturbo di linguaggio vero e proprio.

“I parlatori tardivi solitamente hanno un deficit semantico-lessicale, ossia commettono errori nell’utilizzo delle parole. Sono però considerati bambini problematici, nel caso in cui i  difetti permanessero oltre i 3 anni di età. Questi errori, ad esempio, sono di sottoestensione (il bambino chiama macchinina solo la sua macchinina preferita), di sovraestensione (il bambino chiama gatto qualsiasi animale) o ancora errori di sovrapposizione (il bambino utilizza il verbo aprire sia per la porta che per la televisione) – spiega la logopedista Marta Gallazzi di Humanitas Mater Domini – I bambini late talkers possono, inoltre, commettere errori sulla scelta della parola da usare, scegliendo una parola lessicalmente affine alla parola target (cane al posto di gatto) oppure una parola che per lunghezza e struttura è simile alla parola attesa (canzoni al posto di calzoni).”

Di fronte a queste tipologie di errori, i genitori spesso si spaventano: se da un lato questa preoccupazione è corretta perché li può portare a prendere precauzioni, dall’altro però non deve sfociare nella certezza che il piccolo diventerà un soggetto con un disturbo di linguaggio.

La soluzione sta nei piccoli gesti

I genitori di bambini parlatori tardivi possono aiutare i loro piccoli con semplici gesti, che li accompagnano nell’apprendimento di nuove parole.
Come? Ecco qualche suggerimento:

  • giocare con il proprio bimbo e, nominando gli oggetti e le azioni sui quali lo stesso focalizza la sua attenzione, aiutarlo nella comprensione e nell’acquisizione di parole nuove;
  • stimolare il piccolo con diversi input lessicali mediante l’utilizzo di oggetti-giocattolo di diverse categorie (frutta, verdura, animali, mezzi di trasporto, ecc.), in modo da offrirgli una stimolazione linguistica variegata e completa;
  • leggere quotidianamente un libro insieme al proprio bimbo. È dimostrato, infatti, che la lettura di libri con immagini, finestrelle nascoste e pop-up, aiuta i bambini a sviluppare le loro capacità di attenzione: rimanendo in attesa che la finestrella venga scoperta, i bambini si concentrano sull’immagine e, quando il genitore cita la parola target, la acquisiscono con più facilità ed efficacia.

“È quindi possibile aiutare i nostri piccoli nella risoluzione di iniziali problematiche di linguaggio mediante attività semplici che rinforzano il rapporto genitore-bambino, conferendo loro maggiori capacità di utilizzo del linguaggio”, continua la logopedista Gallazzi.

È fondamentale ritagliarsi del tempo per interagire con i nostri bambini e non pensare che le difficoltà linguistiche insorte siano necessariamente il segnale di un futuro disturbo di linguaggio: è importante agire per gradi, aiutando il bambino nel modo più appropriato rispetto alla difficoltà in relazione alla sua età.

 

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