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 anche Beethoven può fare danni

Prevenzione

Prevenire l’acufene evitando suoni intensi:
 anche Beethoven può fare danni

15/04/2016

«Come prevenire l’acufene? Facendo attenzione a non danneggiare l’udito e, in particolare, a evitare il trauma acustico, riducendo perciò l’esposizione a suoni troppo intensi». Parola del dottor Giuseppe Tabaro, otorinolaringoiatra della Clinica Fornaca di Torino e dell’ORL Team. «Non fa differenza che questi suoni siano piacevoli o spiacevoli – prosegue il dottor Tabaro -: una sinfonia di Beethoven o un martello pneumatico possono produrre gli stessi danni». Dipende dall’intensità del suono e dalla sensibilità dell’orecchio, che varia di persona in persona: «Un rumore da 80 decibel – aggiunge ancora il dottor Tabaro – può generare reazioni diverse: dal semplice fastidio a una sensazione di nausea o sordità temporanea».

Trattare l’acufene significa eliminare, o almeno ridurre, il fastidio provocato dal “suono fantasma” che il nostro cervello percepisce in determinate condizioni. «Ricordiamoci che il paziente ha l’acufene perché non sente bene, non è vero che il paziente non sente bene perché ha l’acufene», precisa ancora il dottor Tabaro, tra i pochi professionisti italiani abilitati all’utilizzo della TRT (Tinnitus Retraining Therapy), terapia che si occupa dell’acufene attraverso il ricondizionamento del segnale percepito dal nostro cervello, trasformandolo da «desueto, allarmistico e fastidioso» in un segnale «neutro, abituale, non allarmistico e non fastidioso». Un po’ come succede a chi vive nei pressi dei binari della ferrovia e impara in poco tempo a “non sentire più” il rumore dei treni in transito.

La TRT utilizza due strategie: l’arricchimento sonoro e il counseling. L’arricchimento sonoro opera a livello sottocorticale inconscio. Al paziente vengono somministrati suoni della natura, neutri e rassicuranti. Suoni da lui smarriti che, in fase di cura, risultano importanti per tornare ad arricchire l’universo sonoro. «Suoni che vanno ascoltati per almeno otto ore al giorno per un periodo che va dai 12 ai 18 mesi – puntualizza il dottor Tabaro -, anche mediante l’utilizzo di dispositivi che, nel caso di pazienti ipoacusici, consentono l’amplificazione dei suoni e quindi il miglioramento dell’udito». Il counseling consiste invece nello spiegare tutto al paziente: «Viene rassicurato e sgravato dai dubbi. Gli diciamo, ad esempio, che ha un acufene e non un tumore». Il counseling si avvale anche di terapie come la mindfullness (counseling cognitivo-comportamentale) e può anche contemplare il supporto psichiatrico.

L’acufene è in ogni caso bene curarlo nella sua fase iniziale, prima che diventi cronico: «Se si registra un calo improvviso dell’udito è necessario farsi visitare da un otorino – avvisa il dottor Tabaro -. Il tempo a disposizione per recuperare il danno iniziale non è maggiore di tre o quattro settimane. La visita specialistica consente di avere una diagnosi precisa dell’entità del danno e capire dove è avvenuto». Perché si tratta di un danno che può attivare aree negative del nostro sistema limbico e del nostro sistema nervoso autonomo: «Nell’acufene – ricorda il dottor Tabaro – non è il suono a dare fastidio bensì l’emozione negativa provocata dal suono».

L’acufene è una patologa che colpisce il 3-4 per cento della popolazione: «Le fonti più comuni risiedono nell’inquinamento acustico – conclude il dottor Tabaro – . Può trattarsi di lavoro (anche se oggi c’è maggior attenzione con l’uso di tappi, cuffie e altri dispositivi) o di svago (discoteche, locali rumorosi, cuffie per l’ascolto della musica). Il giovane che esce dalla discoteca e sente un fischio all’orecchio può trovarsi di fronte a un acufene: il più delle volte scompare subito ma è un segnale da non trascurare perché potrebbe essere sintomatico della sensibilità dell’orecchio».

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