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Prevenzione

Hiv: ecco perché è ancora importante la prevenzione

19/02/2014

Dell’infezione da Hiv si parla sempre meno e, anche se ci sono stati certamente progressi nella gestione clinica della malattia, il virus rappresenta ancora un pericolo reale e un nemico tutt’altro che sconfitto. Come ci spiega il dottor Domenico Mavilio, Responsabile del Laboratorio di Immunologia Clinica e Sperimentale in Humanitas e ricercatore dell’Università degli Studi di Milano, nonostante l’attenzione dei media nei Paesi occidentali si sia pericolosamente abbassata, i decessi a causa del virus vedono purtroppo numeri sempre altissimi.

Il rapporto 2013 dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’AIDS (UNAIDS) riporta che ci sono 35 milioni di persone che vivono con l’infezione a fronte dei 25 milioni di persone del 2001. 1,6 milioni di persone sono decedute di AIDS nel 2012, un numero per fortuna inferiore del 30% rispetto al 2005 e dovuto in larga parte all’accesso alla terapia antiretrovirale su scala globale.

L’infezione da HIV-1 è una delle maggiori cause di morte nel mondo specialmente nel continente africano e nei Paesi sub-sahariani. A conferma che la malattia non è in alcun modo sotto controllo, il rapporto ci dice che ci sono stati 2,3 milioni di nuove infezioni nel 2013 (circa 6300 nuove infezioni al giorno) che colpiscono in particolar modo le giovani generazioni (39%) nel periodo della loro adolescenza intorno ai 15 anni, quando cominciano ad avere una vita sessuale attiva. In effetti, la trasmissione per via sessuale rappresenta oggi la via più comune di infezione almeno nel mondo occidentale.

Ci sono circa 180.000 pazienti che hanno contratto l’infezione da HIV-1 in Italia e circa 4000 nuovi contagi l’anno. Inoltre, secondo il rapporto, l’Italia nel 2012 ha conquistato un triste primato: quello di Paese europeo con più morti, 1.700. Ma il dato più allarmante è che questi dati epidemiologici sono sottostimati in quanto prendono in considerazione solo chi si è sottoposto a test e non le persone che credono di non correre alcun rischio e non fanno il test. Questi ultimi, inconsapevolmente infetti, sono spesso i più giovani che, anche se malati, non figurano nelle statistiche e contribuiscono ignari alla diffusione della malattia.

Di AIDS si guarisce?

L’idea pericolosa che spesso si associa al tasso di mortalità drasticamente diminuito nei Paesi industrializzati è che di AIDS si guarisce. Diciamo quindi chiaramente che di AIDS non si guarisce, che non esiste una cura definitiva e che i pazienti che contraggono l’infezione progrediscono inesorabilmente verso la malattia conclamata se non intraprendono una terapia che blocchi la replicazione virale. Terapia che si basa su l’assunzione di due o tre diversi farmaci da assumere più volte al giorno per tutta la vita o quantomeno sino alla scoperta di una cura definitiva.

E non vi è, al momento, alcun trial clinico o farmaco candidato o vaccino preventivo che possa far sperare all’entrata in commercio di una terapia risolutiva a breve o medio termine. L’attuale terapia antiretrovirale con farmaci multipli è stata introdotta a metà anni Novanta e vent’anni di cura hanno portato alla luce una serie di problematiche cliniche severe legate alla tossicità della terapia e alla resistenza farmacologica. Due aspetti che incidono moltissimo sull’efficacia della cura e sulla compliance del paziente alla stessa e che impongono già da oggi la necessita di sviluppare approcci terapeutici nuovi che aggrediscano nuovi target molecolari sia del virus che del sistema immunitario.

Che caratteristiche ha il virus?

Il virus dell’immunodeficienza umana di tipo 1, HIV-1, identificato nel 1983, è certamente il più noto e studiato patogeno nella storia della medicina con investimenti nell’ordine di centinaia di miliardi di dollari. Tuttavia, più di tre decadi di ricerca non sono bastate per sviluppare terapie definitive e vaccini efficaci e ancora oggi i meccanismi che permettono al virus di indurre un’inevitabile immunodeficienza sono in larga parte sconosciuti.

La capacità del virus HIV-1 di evadere la risposta immunitaria dell’ospite e di radicarsi permanentemente all’interno di “serbatoi” cellulari rappresenta tuttora uno degli gli aspetti patogenetici più importanti da risolvere. Tra le molteplici strategie sperimentali e trial clinici effettuati per aumentare la potenza della nostra risposta immunitaria al fine di eradicare il virus o fermare la replicazione virale, nessuno ha fornito risultati o protezioni soddisfacenti. HIV-1 è infatti naturalmente capace di sfuggire alle difese immunitarie che normalmente invece rappresentano l’arma più potente che l’uomo ha per sconfiggere ed eradicare la maggior parte delle infezioni virali.

Come procede la ricerca?

Allo stato attuale delle cose, siamo ritornati un po’ all’anno zero della ricerca su HIV-1 dove, in virtù delle fondamentali scoperte fatte in passato sui meccanismi di infezione e sui bersagli cellulari preferiti dallo stesso virus, la ricerca in campo biomedico è ritornata a studiare con maggiore enfasi la patogenesi della malattia per capire bene i meccanismi di immuno-evasione adottati da HIV-1. Il gruppo del dottor Lusso presso il National Institutes of Health ha recentemente pubblicato sulla rivista ufficiale dell’Accademia delle Scienze Americane dei risultati che ci spiegano come il virus riesce a eludere la risposta anticorpale anti-HIV-1 (Tyrosine sulfation in the second variable loop (V2) of HIV-1 gp120 stabilizes V2–V3 interaction and modulates neutralization sensitivity).

Nei pazienti che contraggono l’infezione si ha una grande produzione di anticorpi che però vengono definiti non-neutralizzanti, perché non sono in grado di legare con efficacia il virus per poi farlo eliminare dal sistema immunitario. Lo studio ha rivelato che questa capacità intrinseca del virus di schivare gli anticorpi è legato a un processo chiamato “solfatazione” in cui l’acquisizione di un atomo di zolfo da parte degli amminoacidi della capsula glicoproteica del virus stabilizza l’involucro virale e lo chiude, nascondendo pertanto quelle strutture glicoproteiche che gli anticorpi possono riconoscere.

La conoscenza di questo meccanismo permette lo sviluppo di farmaci antagonisti al processo di solfatazione al fine di aprire le strutture trimeriche della glicoproteina 120 del capside virale. Questo processo consentirebbe il legame degli anticorpi al capside di HIV-1 e favorirebbe l’eliminazione dello stesso virus.

In collaborazione con la stessa equipe del dottor Lusso, il nostro gruppo ha inoltre recentemente pubblicato un altro studio (Sialic acid-binding Ig-like lectin-7 interacts with HIV-1 gp120 and facilitates infection of CD4pos T cells and macrophages) sulla rivista Retrovirology in cui identifichiamo un recettore presente sulle cellule immunitarie, Siglec-7, che è in grado di legare direttamente la glicoproteina 120 presente sul capside di HIV-1. Questo legame aumenta in modo considerevole la suscettibilità delle cellule CD4+ a essere infettate dal virus. Entrambi gli studi quindi descrivono due nuovi bersagli, uno sul virus e uno sul sistema immunitario, il cui blocco favorirebbe l’eliminazione del virus e indebolirebbe la sua capacità d’infezione.

 

Il congresso in Humanitas: un importante appuntamento con la ricerca

Nell’ambito della ricerca biomedica, la medicina traslazionale e l’immunologia sperimentale sono fondamentali per comprendere bene le malattie immuno-mediate e i loro meccanismi di insorgenza, come dimostrato chiaramente per l’infezione da HIV-1 in cui il tradizionale approccio empirico per lo sviluppo di vaccini terapeutici o preventivi non ha prodotto i risultati sperati. A questo tema dedichiamo periodicamente dei congressi internazionali di immunologia tenuti presso il Conference Center dell’Humanitas Research Hospital.

Questa iniziativa ha lo scopo di fare il punto con i maggiori esperti a livello mondiale sullo stato dell’arte circa la patogenesi e la terapia delle malattie immunologiche ed è rivolto a medici e ricercatori impegnati nello studio e nella cura di queste patologie. Con una particolare attenzione al mondo dei giovani che rappresentano il vero “oro grigio” e la futura classe dirigente e di scienziati del prossimo futuro. Il meeting che si terrà il 30/31 Settembre e 1 Ottobre 2014 si focalizzerà in questa edizione su patogenesi e cura di malattie infiammatorie (tumori, autoimmunità, infezioni virali e malattie croniche infiammatori intestinali) in cui interverranno i maggiori esperti nel settore.

Per l’infezione da HIV-1 interverrà, tra gli altri, il Prof. Robert Gallo, uno dei pionieri dell’immunologia moderna e scopritore dei retrovirus e dello stesso HIV-1. Il congresso sarà aperto dal Prof. Jules Hoffmann, Premio Nobel per la Medicina del 2011. Si tratta di un convegno della Società Italiana di Immunologia con i patrocini dell’Humanitas Research Hospital, dell’Università Degli Studi di Milano, dell’ Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e della Society for Leukocyte Biology. Per maggiori informazioni consultare il sito www.translationalimmunology.it

 

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