Stai leggendo Michele Lanotte: semaforo verde per il Parkinson

Magazine

Michele Lanotte: semaforo verde per il Parkinson

10/09/2003

Molti scommettono sulle staminali per la cura del Parkinson: dalle ricerche su questo tipo di cellule embrionali, annunciano alcuni studiosi, si farà strada una nuova cura. Una grande speranza, quella di coltivare cellule che possano essere impiantate nel cervello del malato al posto di quelle morte a causa della malattia. Ma, per ora, si tratta ancora solo di una speranza.
Ad oggi esistono due strade percorse dalla scienza medica: quella farmacologica e quella chirurgica. Soprattutto quest’ultima costituisce la risposta più concreta ed efficace per alcuni ammalati in fase avanzata. Di che cosa si tratta?

Si scende ad alcuni centimetri di profondità nell’organo della personalità umana. In anestesia locale si applicano due elettrocateteri, uno in ciascun nucleo subtalamico del cervello. A pochi giorni di distanza e, questa volta, in anestesia generale, si posiziona in regione pettorale un generatore di impulsi, una specie di pacemaker neurologico collegato agli elettrocateteri tramite fili che corrono sotto la pelle.
Lo scopo è lanciare degli impulsi che “disattivino” alcune parti del cervello responsabili dei sintomi della Malattia di Parkinson, come il tremore, la rigidità e la lentezza dei movimenti.
Questa in estrema sintesi la procedura chirurgica chiamata DBS (Deep Brain Stimulation), utilizzata da alcuni anni nei casi di Parkinson più gravi.
La vita del malato migliora drasticamente: non torna alla normalità, l’intervento chirurgico non lo affranca neppure dall’obbligo delle medicine, ma queste si riducono del 60-80% e i sintomi più invalidanti della malattia diminuiscono significativamente.
Non tutte le persone malate di Parkinson sono però candidate a sottoporsi all’intervento. Esistono delle indicazioni precise, spiega il dr. Michele Lanotte, che esegue questo tipo di intervento presso la Divisione di Neurochirurgia del C.T.O. di Torino diretta dal dr. Giuliano Faccani.

PARKINSON: 100-180 CASI OGNI 100mila PERSONE
Nel cervello dei malati della malattia di Parkinson (o paralisi agitante) è in atto un processo di degenerazione cronica del sistema nervoso extrapiramidale (l’insieme di vie e centri nervosi che agiscono sulla corretta azione motoria), in particolare della via nigro-striatale. Il disturbo colpisce circa 100-180 persone ogni 100.000, prevalentemente anziani e di sesso maschile, insorge mediamente intorno ai 60 anni, anche se il 10% dei pazienti ha meno di 50 anni.
Esteriormente si manifesta con sintomi come tremore, rigidità muscolare, lentezza o impossibilità dei movimenti, disturbi dell’equilibrio e dell’andatura, spesso anche ansia e disturbi del linguaggio, volto inespressivo e sguardo fisso.
La malattia è nella maggior parte dei casi a eziologia ignota, vale a dire che non se ne conoscono le cause.

IL RUOLO DEI FARMACI
La terapia farmacologica mira a diminuire la rigidità e le difficoltà motorie. Il più comune è la l-dopa, che contrasta nel malato la carenza di dopamina, un neuromediatore. Infatti, si tratta di un precursore del neuromediatore indispensabile nella trasmissione di uno stimolo da un neurone all’altro. La l-dopa, usata in associazioni ad altri farmaci, rappresenta a tutt’oggi il più potente mezzo terapeutico, anche se presenta difficoltà di dosaggio, effetti collaterali e problemi di efficacia negli anni.

L’APPROCCIO CHIRURGICO, UN INTERESSE SEMPRE CRESCENTE
L’attenzione sempre maggiore alla terapia neurochirurgica nella Malattia di Parkinson è dovuta –spiega il dottor Lanotte -, a tre ragioni principali: “In primo luogo, in molti pazienti trattati con l-dopa nel lungo periodo compaiono serie complicanze motorie correlate con la terapia farmacologica, come i movimenti involontari. Una seconda ragione è data dai progressi della neurofisiologia con una migliore comprensione della fisiopatologia dei nuclei della base e quindi delle strutture “bersaglio” dell’atto chirurgico. Infine, lo sviluppo di nuove tecniche di neuromaging che consentono di acquisire immagini del cervello più chiare e precise e di procedure di monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio (microregistrazione e stimolazione) hanno portato ad una maggiore precisione degli interventi di neurochirurgia funzionale”.

CASISTICA
Nel mondo i malati di Parkinson trattati chirurgicamente sono circa 8000 – conclude il dottor Lanotte -, in Italia siamo arrivati a qualche centinaio di interventi. Oltre al C.T.O di Torino, ci sono una quindicina di centri dove si effettua la DBS. Tra quelli con una casistica più consolidata ci sono il Besta di Milano con il prof. Broggi, il Centro San Gerardo di Monza con il dott. Landi e il Policlinico di Milano.

PRO E CONTRO DELL’INTERVENTO
Il “pacemaker neurologico” collocato sotto la clavicola – spiega sempre Michele Lanotte – determina un blocco funzionale reversibile e modulabile della struttura nervosa bersaglio. Questo significa che se il paziente non vuole più il sistema che gli è stato impiantato, lo si spegne senza alcuna conseguenza sul paziente (per questo si dice, appunto, reversibile). Inoltre il funzionamento dello stimolatore ad impulsi è regolabile a seconda della risposta nel paziente (è modulabile), consentendo così un’integrazione molto fine della terapia chirurgica con quella farmacologica.
Quindi la DBS non ha nulla a che fare con l’approccio chirurgico che cerca di disattivare le parti del cervello responsabili dei sintomi della Malattia attraverso una vera e propria lesione del nucleo subtalamico. Con la lesione, infatti, il nucleo subtalamico viene “disattivato” per sempre.
Gli svantaggi della DBS sono invece rappresentati dal costo degli elettrocateteri e dei generatori di impulsi (questi devono essere cambiati ogni 3-6 anni).
Inoltre il paziente deve essere addestrato a gestire l’elettrostimolatore e deve essere periodicamente monitorato per eventuali modifiche dei parametri di stimolazione.

CHI SONO I CANDIDATI ALL’INTERVENTO CHIRURGICO
Il paziente deve essere correttamente selezionato, spiega il dottor Lanotte. I criteri sono tre: neurologico, neuropsicologico (la valutazione dello psicologo) e neurochirurgico.
Il quadro clinico della malattia di Parkinson deve essere grave (forme avanzate di malattia, immobilità, movimenti involontari, non rispondenza ai farmaci). Non devono essere presenti altre patologie gravi, specie cardiorespiratorie, epatiche o renali.
Anche l’età incide sulla selezione dei pazienti. Si preferiscono così pazienti al di sotto dei 65-70 anni. L’esame psicologico è necessario perché il paziente non solo deve essere in grado di gestire l’elettrostimolatore, deve anche collaborare con i chirurghi durante la prima fase dell’intervento, quando in anestesia locale vengono posizionati gli elettrocateteri nel nucleo subtalamico e vengono fatti “partire” degli impulsi campione per valutarne l’effetto terapeutico. Occorrono quindi tutti e tre i semafori verdi.

A cura di Marco Renato Menga

Articoli che potrebbero interessarti

Non perderti i nostri consigli sulla tua salute

Registrati per la newsletter settimanale di Humanitas Salute e ricevi aggiornamenti su prevenzione, nutrizione, lifestyle e consigli per migliorare il tuo stile di vita