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Simone Moro: cibo sano anche in vetta all’Himalaya

09/12/2004

“Pasta, grana, speck, olio d’oliva, sugo di pomodoro, pesto, tortellini e quant’altro. Non mancheranno cibi liofilizzati e anche dolciumi, ma fondamentalmente cercherò di non aggiungere stress allo stress ambientale che già ci sarà”. Alla vigilia di una spedizione di due mesi sull’Himalaya, così Simone Moro descriveva le sue scorte alimentari, intervenendo al convegno sull’obesità, organizzato a Bergamo da Humanitas Gavazzeni lo scorso 20 novembre.
Nel corso della sua impresa, che si concluderà il 7 febbraio 2005, l’alpinista bergamasco, l’unico dopo Reynold Messner ad aver raggiunto due volte la cima dell’Everest, affronterà condizioni di vita estreme: “Stiamo parlando di un luogo di dichiarata ipossia, a un’altitudine simile alla quota di volo di un jumbo. E’ come rimanere per ore sull’ala dell’aereo, con lo stesso freddo e la stessa mancanza d’ossigeno”.

Energia per affrontare l’alta montagna
L’organismo dovrà bruciare molte calorie per affrontare i fattori ambientali, oltre agli sforzi energetici richiesti dalla scalata: certi giorni il movimento si protrae per 6-8 ore, con punte massime di 15-17 ore d’azione. Oltre alle 600-700 calorie dell’attività aerobica, ne servono altre 200-300 per la mancanza d’ossigeno e gli scambi di termoregolazione (le temperature raggiungono anche i 50 gradi sotto zero): “Mille calorie all’ora per dieci ore sono diecimila calorie. E’ chiaro che lì il problema non è la sovranutrizione, ma l’esatto opposto: l’energia per sostenere sforzi simili non è mai sufficiente, anche perché c’è una questione di quantità e trasporto degli alimenti”.

L’alimentazione al campo base
Al campo base la spedizione può contare, tutto sommato, su una buona scorta alimentare: “Cerco di seguire una dieta mediterranea, bilanciando al meglio tutti gli elementi nutritivi”. Se è impossibile avere frutta e verdura fresca, risulta difficile anche mangiare proteine, per problemi di trasporto, ma anche per una questione culturale: “Portare una capra e delle galline da ammazzare al campo base non è possibile, perché la religione buddista lo vieta. Ci sono norme comportamentali da rispettare, se non vogliamo comportarci da conquistadores”. Per due mesi Simone Moro berrà acqua ottenuta sciogliendo ghiaccio o neve: “Praticamente acqua distillata, come quella del ferro da stiro: senza metalli e senza sali. Una carenza che subito si ripercuote sui tessuti, causando fragilità delle unghie, screpolature. Noi siamo veramente fatti di ciò che mangiamo e respiriamo”.

Liofilizzati e grana a 8 mila metri
Una volta abbandonato il campo base, inizia la scalata e l’alpinista deve per forza ricorrere ai cibi liofilizzati. “Innanzitutto bisogna procurarsi l’acqua, sciogliendo la neve: un metro cubo e un’ora di fatica per ogni litro, quindi siamo sottoidratati e sottoalimentati anche per questo ulteriore impegno fisico”. Simone Moro non si accontenta di una vasta gamma di pasti liofilizzati, nemmeno quando si trova ad altissima quota, e si assicura anche un’alimentazione più tradizionale. “Un pezzo di grana l’ho mangiato anche a ottomila metri, senza ossigeno, così come due fette di bresaola di cavallo, la meno grassa e la più ricca di ferro, elemento prezioso contro l’anemia”.

Integratori: quando servono
“Durante la spedizione uso degli integratori di sali minerali, vitamine e amminoacidi, cioè proteine. Il metabolismo dei grassi, senza ossigeno nell’aria, fa fatica, così il corpo umano consuma ciò che ha di meglio: le proteine, quindi il ventre muscolare. Senza integratori proteici mi è capitato di perdere anche dieci chili di peso”. E’ un errore, però, vedere negli integratori un rimedio portentoso, come credono molti, sportivi e non. “Come dice la parola stessa, dovrebbero integrare l’alimentazione solo nei casi in cui questa non fosse sufficiente. Quindi generalmente non sono necessari durante la normale attività sportiva, per quanto intensa sia. Siamo schiavi di queste alternative, come siamo schiavi delle mode”.

L’alpinista nella vita quotidiana
“Paradossalmente, quando sono a casa faccio sempre più fatica a vivere in modo attivo – confessa Moro, che sottolinea l’atteggiamento iperprotettivo della società attuale nei confronti del corpo, teso a limitare al massimo gli sforzi: contro il freddo ci si copre sempre di più, eliminando la termoregolazione, i genitori si arrabbiano se lo scuolabus non si ferma davanti a casa ed esonerano i figli dalle ore di ginnastica per paura che si raffreddino. “Così mi sono imposto la regola che la mia vita debba sempre contemplare una porzione di attività fisica. Per me l’ascensore non esiste”. Nei periodi di preparazione prima di una spedizione, l’allenamento si fa duro: 2 mila km al mese in bici, 110 km di corsa a settimana. “Mi alleno tanto e cerco di mangiare il più normale possibile, con integratori e liofilizzati solo se necessari”. La filosofia di vita dell’atleta è riassunta in un motto, che suona da consiglio per tutti: “Meglio bruciare più calorie e controllarsi meno nel cibo, perché il piacere è doppio: il benessere del movimento e il gusto di mangiare”.

Di Maria Carla Rota

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