Sport

Faletti: il ruolo dell’Imaging nello sport

12/11/2004

Sempre più spesso, oggi, giornali, radio e TV parlano di recuperi a tempo di record degli sportivi professionisti, calciatori in testa, dopo infortuni anche seri. Ma quanto c’è di vero? E dove sta il loro segreto? Lo abbiamo chiesto a chi di atleti se ne intende, poiché spesso ha a che fare con pazienti “famosi”, come i giocatori della Juventus: il dott. Carlo Faletti, consulente dell’Area di Diagnostica per Immagini (settore musclo-scheletrico) della Clinica Fornaca di Torino.

Dottor Faletti, dal suo punto di vista, quanto sono diversi gli sportivi professionisti dalle persone comuni?
“Non sono affatto diversi, sono persone assolutamente normali. Dal punto di vista umano sono spesso mitizzati, ma diventano come tutti gli altri al di fuori dell’ambiente dei media, lontani dai riflettori. Dal punto di vista fisico, invece, seguono una preparazione atletica diversa, molto mirata, che va ad accentuare una predisposizione naturale indispensabile per praticare sport a determinati livelli”.

Sono pazienti disponibili?
“Assolutamente. E molto curiosi. Si informano, vogliono sempre avere un quadro completo e dettagliato della loro situazione”.

C’è una domanda che si sente rivolgere più spesso?
“Sì, ed è sempre la stessa: quando guarisco? Una domanda comprensibile se si pensa che non sono moltissimi gli anni in cui questi atleti possono praticare sport ad altissimo livello. E vogliono quindi sfruttarli al meglio”.

Oggi gli infortuni seri capitano più o meno spesso rispetto a qualche anno fa?
“Non ci sono state grandi variazioni negli anni. C’è però una differenza sostanziale: prima si prestava meno attenzione alle ‘lamentele’ degli atleti. Oggi, invece, si tende a ‘fermare’ – e quindi anche curare – il professionista prima che una lesione diventi grave. In primo luogo perché i mezzi diagnostici a nostra disposizione ci permettono di individuare gli eventuali problemi in modo precoce. E in secondo luogo perché l’impegno richiesto agli atleti professionisti oggi è molto maggiore. Nel calcio, ad esempio, si gioca più spesso, e quindi c’è meno tempo per ‘recuperare’”.

Dopo un infortunio, i tempi di recupero sono più brevi?
“No, al contrario di quanto spesso si sente dire. Senza dubbio oggi i presidi terapeutici consentono un miglior recupero finale, ma i tempi non variano di molto. Sono le informazioni non corrette sul tipo di lesione subita che, la maggio parte delle volte, fanno pensare ad una guarigione molto più rapida”.

Parliamo invece degli amatori…
“Loro sono i più soggetti ad infortuni. Perché non si può pensare di emulare un professionista che osserva una rigorosa preparazione, non solo atletica, prima e dopo la prestazione sportiva. E che, nel caso del calcio, corre su un terreno soffice. E’ questo il motivo per cui le lesioni degli sportivi ‘occasionali’ sono, nella maggior parte dei casi, più gravi di quelle dei professionisti. Ad esempio, per chi gioca a calcetto, le lesioni più frequenti sono la frattura del menisco e la rottura dei legamenti crociati del ginocchio. Infortuni rari negli atleti ad alto livello”.

Per concludere, quali sono secondo lei gli strumenti diagnostici che più si sono evoluti negli ultimi anni?
“Tutti. Dalla radiologia tradizionale (RX), che ha subito uno sviluppo davvero notevole con la digitalizzazione delle immagini, all’ecografia con il doppler e i mezzi di contrasto, alla TAC divenuta spirale, alla RM (Risonanza Magnetica), ultima arrivata ma in molti casi ormai gold standard diagnostico.
Attenzione, però! Gold standard non significa metodologia per forza sempre utile. Se prendiamo ad esempio il caso di un distacco osseo, difficilmente una RM lo evidenzia, per problemi di segnale. Una TAC sottoporrebbe il paziente ad una quantità troppo elevata di radiazioni. Un’ecografia potrebbe sì individuare il problema, ma non così bene come un esame radiologico tradizionale. E’ dunque determinante l’abilità del medico, che deve conoscere tutte queste metodiche ed indicare di volta in volta quella da cui il paziente può trarre i benefici maggiori”.

Di Monica Florianello

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