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Alimentazione

La grande “sfida” delle diete

15/01/2002

Mangiare bene, in maniera equilibrata, valorizzando tutta la gamma dei componenti nutritivi a disposizione negli alimenti di ogni giorno: carboidrati, grassi, proteine, vitamine. Per deliziare il palato, ma anche per mantenere uno stile alimentare salutare che permetta al nostro organismo di tenere lontane situazioni croniche anche gravi e socialmente costose non solo per il singolo individuo, ma anche per l’intera collettività, come il diabete, l’obesità, l’ipertensione arteriosa. Cominciamo con la “sfida” fra dieta mediterranea e dieta americana: qual è la migliore?
“Humanitas Salute” lo ha chiesto ad un esperto noto al pubblico televisivo nazionale: il professor Giorgio Calabrese, docente di scienza dell’alimentazione all’Università Cattolica di Piacenza.

Le caratteristiche principali dei due stili alimentari
“La nostra dieta mediterranea basa tutto su un principio: molta più fibra, molto meno grassi. Al contrario – specifica il professor Giorgio Calabrese – il regime alimentare tipico dell’americano medio è caratterizzato da una prevalenza assoluta dei grassi sulle fibre che sono comunque presenti in buona quantità. Questa è una chiave di volta molto importante che ne determina, a sua volta, un’altra: cioè, una minore longevità generale nella popolazione americana strettamente correlata ad una maggiore incidenza dei tumori dell’apparato digerente, delle malattie del cuore e dell’apparato circolatorio, come l’arteriosclerosi. Un punto a sfavore, per la dieta mediterranea, è la quota maggiore di calorie, mentre vince sicuramente il confronto su quella americana per la percentuale di alimenti ricchi di fibra”.

Più carboidrati complessi nella dieta mediterranea
“Ogni giorno, noi mangiamo la pasta o il riso, i legumi o le patate, molto pane, fette biscottate e biscotti, verdura e frutta in grandi quantità. Questi alimenti sono in parte presenti anche nella dieta americana, ma con qualche differenza significativa: per esempio, si mangia meno frutta e verdura mentre si utilizzano discretamente i legumi. E qui si esauriscono i punti in comune con la nostra dieta mediterranea, mentre oltreoceano sono praticamente sconosciuti la pasta e il riso. L’americano medio, invece, – chiarisce il professor Calabrese – mangia una pietanza a base di carne, o pesce, accompagnata dai cosiddetti “vegetables”, cioè piccole quantità di verdure per contorno, molto spesso fritte. Poi finisce sempre il pasto con un dolce o un tipo di frutta caramellata o addizionata con panna. Il risultato? Una differenza significativa, non solo per quantità e qualità dei cibi base, ma proprio per la mancanza evidente, nella dieta degli States, dei carboidrati complessi che, nei nostri piatti, troviamo in abbondanza nella pasta, nel riso e nei legumi”. E il pane, che per noi è fondamentale? “Gli americani usano un pane ricchissimo di mollica a base di strutto, cioè grassi ricchi di trigliceridi. Un alimento di per sé pesante”.

Processo incrociato ai due modelli di alimentazione, il ruolo degli zuccheri semplici e complessi
“Alcuni nutrizionisti americani – una minoranza – affermano che bisogna rispettare una regola d’oro per il nostro organismo: non bisogna caricarlo troppo di zuccheri perché altrimenti viene prodotta troppa insulina con i rischi che ne derivano. Ma si sono dimenticati – spiega Calabrese – di fare il confronto fra i loro zuccheri e i nostri. Quelli usati a piene mani in America sono zuccheri semplici: mi riferisco per esempio al comune zucchero da cucina, alla panna montata dei dolci e a quella acida. In questi ultimi due casi, gli zuccheri sono molto ricchi di lattosio che, più facilmente si legano ai grassi; per contro, i nostri zuccheri sono carboidrati complessi, amidi con un pregio fondamentale rispetto agli zuccheri semplici: prima di far produrre insulina all’organismo passa parecchio tempo”.

Ma gli americani mettono la pasta sul banco degli imputati per “eccesso di calorie”
La tesi accusatoria di certi “addetti ai lavori” statunitensi sulla dieta mediterranea si concentra sui presunti “difetti” della pasta: finché ne mangeremo tanta avremo difficoltà a mantenere la linea. Troppe calorie, insomma. Secondo il biochimico Barry Sears, che ha inventato la dieta “Zona” (quella preferita dai Vip), la pasta va bocciata: è permessa solo in mini-porzioni di 20-25 grammi al giorno. Per Sears almeno 3 quarti dei carboidrati che si assumono ogni giorno devono derivare da frutta e verdura e solo un quarto da pane e pasta. Professor Calabrese, lei cosa ne pensa?
“E’ una valutazione fatta da uno dei tanti guru dell’alimentazione, il quale ha enunciato un concetto antiscientifico. Non è – per fortuna – una scelta di campo di tutta la comunità scientifica statunitense, ma solo un caso isolato, una sorta di provocazione neanche troppo seria. Sears si appella in sostanza a due aspetti fondamentali: la presenza eccessiva di carboidrati; le grandi quantità di latte e formaggi nel nostro modello di alimentazione. Il tutto stimolerebbe – secondo l’accusa che viene fatta – un’eccessiva produzione di insulina fin dalla più tenera età, al punto tale che il metabolismo basale, diventati adulti, non riuscirebbe più a tornare indietro. Ma io rispondo a questi guru con una domanda altrettanto provocatoria: vogliamo confrontare il nostro grado di obesità con il loro? Ci sono i numeri che parlano chiaro”.

La replica italiana è una contro-accusa alla dieta americana
Avvocato difensore della dieta mediterranea, ma contemporaneamente pubblica accusa contro certi estremismi della dieta americana, il professor Calabrese non si fa pregare: “Perché non vanno a guardare quanti sono i malati di tumore al pancreas in America? Sono un numero 5 volte superiore al nostro. E i tumori al colon, che sono il quadruplo dei nostri? E i diabetici, superiori di 6 volte ai nostri? E questo nonostante loro dicano di non mangiare zuccheri. C’è da dire, però, che oltreoceano hanno modificato sostanzialmente la loro dieta, partendo dal modello vegetariano e aggiungendo legumi, con in più un uso sproporzionato e indiscriminato di grassi animali. Ancora oggi in America si usa, per cucinare, panna e burro in grandi dosi al posto del nostro olio extravergine di oliva: salvo poi richiederlo in quantità industriali proprio a noi italiani. Il punto è: hanno capito che non possono andare avanti con i grassi saturi, dannosi per le arterie, ma devono inserire nella dieta acidi grassi monoinsaturi”.

Come sono costituite le piramidi alimentari nelle due diete?
“La dieta americana – spiega ancora Calabrese – non è basata sui carboidrati complessi, come pasta e riso, ma è più legata a legumi, verdure e frutta. Mentre noi facciamo ricorso ad almeno cinque porzioni al giorno di frutta e verdura, gli americani ne mangiano solo tre. Inoltre preferiscono il pesce al posto della carne, la carne bianca al posto di quella rossa e limitano l’uso dei grassi anziché eliminarli completamente. Però, nella loro piramide aggiungono “moralmente” l’esercizio fisico, cioè il fitness. Per gli americani, infatti, la dieta va associata sempre con una pratica sportiva perché il regime alimentare da solo non risolve il problema. Al contrario, la “piramide alimentare italiana” è come se dicesse alla nostra coscienza: “Non ti preoccupare se non fai sport – sarebbe comunque meglio farlo – assicurati 5 porzioni al giorno di frutta e verdura, mangia almeno un primo piatto a pranzo o a cena, aggiungi qualche fetta biscottata e totalizzerai quei 30 grammi di fibre che costituiscono il fabbisogno giornaliero raccomandato”. In più, ad ogni pasto – ricorda Calabrese – si dovrà aggiungere la carne, rossa o bianca, o il pesce oppure uova o formaggio, per avere la quota di proteine nobili necessarie. Infine la frutta o uno yogurt o una crostata di mele. Nella nostra dieta, a fine pasto, si dovrebbero evitare cioccolata e panna”.

Qual è per gli americani il pasto principale?
“E’ diviso equamente fra il breakfast (prima colazione) e il dinner, cioè la cena. Il pranzo si limita ad un panino al fast food. Il lunch, per gli americani, al 98% si svolge fuori casa, perlopiù nei bar attrezzatissimi”.

Però, anche in Italia si sta andando verso la stessa direzione: cioè il fast-food…
“…è vero! Ma siamo ancora al 23% di persone che consumano il pranzo fuori casa; fra 20 anni raggiungeremo il 60%. Per noi italiani il pasto principale rimane la cena, mentre a pranzo non si fa certo la fame, anzi…si mangia abbastanza. Gli americani, per contro, consumano in grande quantità dolci e gelati, anche più volte al giorno”.

Anche i condimenti sono diversi?
“C’è una differenza enorme. L’ho constatato per esperienza diretta. Se in un ristorante italiano chiedo un’insalata, me la portano già condita con olio extravergine di oliva oppure di semi; se la chiederò in un locale americano, per esempio a Boston, me la serviranno o scondita o con la panna acida. Sono filosofie gastronomiche diverse”.

Quali sono le malattie tipiche di un abuso della dieta americana?
“Malattie cardiache, pancreatiche, dell’apparato gastrointestinale. Ma sono i numeri a chiarire molto meglio il concetto. Negli Stati Uniti si spendono oltre 22 miliardi di dollari all’anno per curare malattie cardiovascolari, il 22% degli uomini e il 37% delle donne spendono circa 55 miliardi all’anno per perdere peso. Però, negli ultimi 15 anni, il peso medio degli americani è aumentato di ben 4 chili”.

Quali invece le conseguenze derivate dalla dieta mediterranea?
“Noi non paghiamo gli abusi alimentari in termini così drastici: siamo un po’ diabetici, un po’ cardiopatici, un po’ vasculopatici, un po’ tumorali. Abbiamo dalla nostra parte la longevità: nei confronti degli americani abbiamo più di 15 anni di vita, anche quando ci ammaliamo di diabete. E mi spiego meglio: siamo a conoscenza di americani di 60 anni con forme di diabete scompensato molto serio, perché il loro organismo non ne può più. Da noi, invece, il diabetico è così ben “compensato” che può permettersi di vivere fino a 85 anni, limitandosi a prendere la sua brava pillolina ogni giorno, vivendo nel complesso senza grossi problemi”.

A cura di Umberto Gambino

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