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Entro il 2050 in Italia 20 milioni di anziani

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Il rischio è che l’Italia, da qui ai prossimi 40 anni, possa diventare un grande “ospizio disorganizzato“. Secondo le previsioni fatte dagli esperti demografici nel 2050 nel Bel Paese 2 milioni e mezzo di italiani potrebbe avere più di 65 anni di età. Se oggi gli anziani sono 1 quarto della popolazione totale, entro nel 2050 saranno più di un terzo. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Elena Maria Abati, geriatra e fisiatra dell’Unità Operativa di Riabilitazione e responsabile del Servizio Onde d’urto di Humanitas Gavazzeni Bergamo.

 

Le proiezioni dell’Istat

Nel 2050, infatti, ci saranno due milioni e mezzo di italiani in meno e gli over 65, oggi un quarto della popolazione, diventeranno più di un terzo: 20 milioni di persone, di cui oltre 4 milioni avranno più di 85 anni. Sono alcuni dei dati emersi dalle proiezioni sociodemografiche e sanitario-assistenziali al 2030 e al 2050 elaborate dall’Istat per Italia Longeva, la Rete nazionale sull’invecchiamento e la longevità attiva, e presentate di recente al Ministero della Salute nel corso della terza edizione degli Stati generali dell’assistenza a lungo termine.

Per il presidente di Istat, Giorgio Alleva, ci si trova davanti a “una questione di sostenibilità strutturale per l’intero Paese”. Se Italia Longeva parla in una nota di una “bomba demografica pronta a deflagrare“, il suo presidente Roberto Bernabei commenta: “Dobbiamo evitare che l’Italia diventi un enorme ma disorganizzato ospizio nel quale resteranno pochi giovani costretti a lavorare a più non posso per sostenere milioni di anziani soli e disabili”.

 

Il problema delle patologie croniche

Nei prossimi dieci anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave come ipertensione, diabete, demenza, malattie cardiovascolari e respiratorie. Lo dicono le proiezioni elaborate dall’Istat per Italia Longeva – Rete nazionale sull’invecchiamento e la longevità attiva.”Curarli tutti in ospedale – commenta Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva – equivarrebbe a trasformare Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna e Firenze in grandi reparti a cielo aperto. È evidente, quindi, che le cure sul territorio non rappresentano più un’opzione, ma un obbligo per dare una risposta efficace alla fragilità e alla non autosufficienza dei nostri anziani, che si accompagnerà anche a una crescente solitudine”. Le stime Istat per Italia Longeva dicono inoltre che nel 2030 potrebbero arrivare a 4 milioni e mezzo gli ultra 65enni che vivranno da soli e di questi 1 milione e 200mila avrà più di 85 anni. Sempre secondo lo studio, al Nord un over65 ha il triplo delle possibilità in più di essere ospitato in una residenza sanitaria assistenziale rispetto a un cittadino del Sud, e ha a disposizione circa il quintuplo di assistenza domiciliare, in termini di ore e di servizi.

 

Anche i disabili saranno in aumento

“C’è poi la disabilità – prosegue Bernabei – che nel 2030 interesserà 5 milioni di anziani, e diventerà la vera emergenza del futuro e il principale problema di sostenibilità economica” per l’Italia. “Essere disabile – conclude Bernabei – vuol dire avere bisogno di cure a lungo termine che, solo nel 2016, hanno assorbito 15 miliardi di euro, dei quali ben tre miliardi e mezzo pagati di tasca propria dalle famiglie”.

“A chi si occupa di clinica geriatrica e di gerontologia, questi numeri non sono nuovi, bensì sono una conferma di prospettive future che già erano note negli anni Novanta”, ha precisato anche Abati.

In un articolo-denucia pubblicato nel 1990 su un numero di Archives of Internal Medicine già si scriveva: “Le sfide che la crescita esplosiva della popolazione anziana pone negli anni a venire alla classe medica, ai ricercatori e all’intero sistema socio-sanitario è enorme. E’ necessario prepararsi a gestire una nuova categoria di malati, quella degli anziani caratterizzati da una particolare vulnerabilità per la contemporanea presenza di più malattie croniche, di fragilità e di disabilità tali da richiedere elevate e specifiche competenze professionali ed una specifica e diversa organizzazione assistenziale”.

Le conseguenze di un approccio scorretto a questi soggetti secondo gli autori sono diagnosi incomplete e errate, eccessiva prescrizione farmacologica, istituzionalizzazioni inappropriate, inadeguato utilizzo dei servizi territoriali e mancato ricorso alle strategie riabilitative. Già in quegli anni si ipotizzava l’inadeguatezza, in ambito geriatrico, di un modello ospedalo-centrico, appropriato per un malato acuto giovane-adulto, ma inadeguato per un soggetto ottantenne, con alta comorbidità e a rischio di non-autosufficienza.

 

L’urgenza: dare più spazio alle cronicità

“Sino ad ora poco è cambiato, le stesse scuole di formazione medica e infermieristica non dedicano che una parte ridotta del percorso formativo alla preparazione geriatrico-gerontologica, prediligendo la formazione nell’ambito dell’acuzie che in quello della cronicità, sebbene, come abbiamo visto, la tendenza demografica sia esattamente l’opposto – ha proseguito la specialista -. In Regione Lombardia un primo, definirei, iniziale tentativo di ‘aprire il coperchio’ del problema invecchiamento della popolazione è rappresentato dal Progetto Cronici. Questo progetto, che ha visto i suoi albori nell’anno in corso, si basa sulla presa in carico di soggetti portatori di malattie croniche. Il percorso vede coinvolte realtà ospedaliere, socio-assistenziali e territoriali. Il primo obiettivo è quello di creare un supporto e una coordinazione all’assistenza sanitaria specialistica con la costruzione di Percorsi diagnostico-terapeutici personalizzati, per facilitarne ma anche regolamentarne l’accesso”.

L’elemento chiave è il clinical manager, che, sulla base di quanto previsto dal progetto, ben ricalca la figura del medico competente in ambito geriatrico. Egli, avvalendosi di altre figure di supporto, per lo più di tipo infermieristico, “cura” soggetti spesso complessi per l’alta comorbidità, la polifarmacoterapia, l’alto rischio di disabilità e di istituzionalizzazione. “Il Progetto Cronici Lombardo – ha concluso Abati -, con tutti i limiti che lo caratterizzano al momento e le incomprensioni che ha purtroppo ha generato, rappresenta l’occasione per portare al centro di un sistema sanitario avanzato ma centrato sull’acuto, il problema della presa in carico del malato anziano fragile, polipatologico e politrattato, come già evidenziato da noi geriatri sin dai lontani anni Novanta”.