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Benessere

L’efficacia della comunicazione

07/05/2002

Negli ultimi trent’anni il numero di donne alle quali viene diagnosticato un tumore al seno è notevolmente aumentato, soprattutto nei paesi industrializzati. Ciò è dovuto da un lato all’allungamento della vita media dall’altro alla presenza di campagne di screening e ad una migliore informazione alla popolazione, con un conseguente maggior numero di casi diagnosticati precocemente. Ne consegue che il numero di pazienti che si trovano ad affrontare la lotta contro il tumore al seno è sempre più elevato ed è quindi indispensabile in tal campo un’informazione quanto più possibile “adeguata”, esaustiva e basata su evidenze scientifiche.
Per la maggior parte delle donne la diagnosi di tumore al seno comporta reazioni di notevole ansia e paura correlate a due prospettive: la mutilazione chirurgica e le implicazioni prognostiche della diagnosi stessa. Ci sono fondati motivi per essere ottimisti: il dott. Piermario Salvini, responsabile della Sezione di Oncologia Medica di Humanitas Gavazzeni, spiega che i progressi ottenuti in campo diagnostico, chirurgico e medico hanno portato ad un netto miglioramento della prognosi e il maggior numero di diagnosi precoci ha come conseguenza un incremento del numero di pazienti “guarite” dalla malattia.

L’oncologo e le paure di tutti i giorni
Un momento particolarmente delicato, per la donna, è quello delle cosiddette terapie adiuvanti o complementari alla chirurgia, che vengono stabilite dall’oncologo tenendo conto di più aspetti: le caratteristiche prognostiche della malattia operata (che si deducono dalle dimensioni del nodulo asportato, dalla presenza/assenza di coinvolgimento linfonodale, dallo stato recettoriale e da altri indici di aggressività biologica), l’età e le eventuali comorbidità della paziente e, soprattutto, le sue aspettative e scelte in merito alla malattia.
La chirurgia conservativa richiede nella quasi totalità dei casi, per il controllo locale della malattia, un trattamento radiante sul tessuto mammario residuo. La terapia medica invece, l’ormonoterapia o la chemioterapia, si inserisce nell’ottica di aumentare la probabilità di guarigione definitiva. Tale terapia, definita “precauzionale” ha un impatto psicologico notevole sulle pazienti, sia perché segue l’evento traumatico della diagnosi e dell’intervento chirurgico sia perché donne teoricamente già guarite devono accettare un trattamento che è ancora troppo spesso sinonimo di disagio e sofferenza e, in alcuni casi, di ulteriore danno della propria immagine corporea quando i trattamenti comportano la perdita dei capelli. È però proprio la terapia precauzionale che ha avuto un impatto significativo sulla sopravvivenza di pazienti che al momento dell’intervento chirurgico presentano un rischio di recidiva intermedio o intermedio-alto. Le donne che arrivano dall’oncologo hanno paura della perdita dei capelli, della tossicità delle cure, del dolore. Compito del medico è spiegare che il termine chemioterapia non è più sinonimo di sofferenza: l’informazione adeguata sulla possibilità di gestire efficacemente gli effetti collaterali delle terapie grazie ad antidoti che un tempo non erano disponibili, oltre alla disponibilità di un servizio di psicoterapia, rendono più tollerabili tali trattamenti e la consapevolezza, ora molto più che in passato, che l’obiettivo sia la guarigione definitiva gioca un ruolo fondamentale nell’accettazione degli stessi.

Quali sono le tecniche terapeutiche più all’avanguardia?
Grazie alle nuove tecniche chirurgiche, si eseguono ormai sempre meno mastectomie e sempre più quadrantectomie. La chirurgia conservativa rende dal punto di vista psicologico più accettabile l’intervento da parte della donna. Da alcuni anni vi è anche la possibilità,in casi selezionati, di evitare lo svuotamento linfonodale ascellare grazie alla tecnica del “linfonodo sentinella”. Inoltre, nel caso in cui si renda necessario l’intervento demolitivo, è possibile programmare con il chirurgo plastico un successivo intervento ricostruttivo, che ovviamente non influenza né il decorso della malattia né la sua prognosi. Questa possibilità aiuta ad affrontare in modo più sereno il periodo postoperatorio, limitando il danno psicologico dovuto dall’alterazione dell’immagine corporea ed evitando inoltre l’uso fastidioso di protesi mammarie esterne.
Anche la terapia medica è progredita molto negli ultimi anni. Nuove formulazioni meno tossiche di farmaci già noti, nuove molecole che hanno come bersaglio “selettivo” le cellule neoplastiche e possibilità di effettuare la radioterapia intraoperatoriamente: questi sono i nuovi traguardi nel trattamento del carcinoma mammario operabile. Non si tratta di terapie sostitutive rispetto a quelle ritenute “standard”, ma di un ulteriore progresso sotto molteplici punti di vista in quanto consentono di ridurre la tossicità di alcuni farmaci e di aumentare l’efficacia di altri incrementando ulteriormente le percentuali di guarigione.

Che tipo di vita può condurre la donna dopo i trattamenti?
Dopo un periodo di cure variabile, le donne trattate per tumore del seno necessitano solo di alcuni controlli clinici e strumentali periodici che rientrano nel cosiddetto “follow-up”. E’ ormai riconosciuta all’unanimità l’inutilità di un follow-up “aggressivo” comprendente controlli troppo ravvicinati ed esami invasivi. Sicuramente utili sono invece i controlli clinici e senologici a scadenza semestrale o annuale.
La conclusione dei trattamenti rappresenta per queste donne un periodo particolarmente delicato durante il quale non sempre è facile riprendere le abitudini quotidiane di un tempo. A ciò va aggiunto che le pazienti di età compresa tra i 35 e i 45 anni possono esitare in menopausa o come scelta dei medici in caso di malattie ormonosensibili o come effetto collaterale del trattamento chemioterapico. Se dal punto di vista clinico la cessazione dell’attività ovarica è quasi sempre di beneficio nel ridurre il rischio di recidiva neoplastica, dal punto di vista psicologico rappresenta un ulteriore cambiamento dell’immagine corporea e quindi spesso del ruolo sociale e familiare delle pazienti.

Dalla diagnosi alla guarigione: un percorso a più tappe all’interno di un’unica struttura
Negli ultimi 30 anni l’approccio diagnostico e terapeutico al tumore della mammella è cambiato radicalmente. L’approccio multidisciplinare rappresenta la possibilità più concreta per migliorare le percentuali di guarigione. Dati scientifici dimostrano la superiorità del trattamento combinato (chirurgia, radioterapia, chemio e/o ormonoterapia in sequenza variabile) rispetto alle singole forme di trattamento. E’ pertanto di fondamentale importanza, data la rilevanza sociale del tumore al seno, la possibilità di garantire all’interno della stessa struttura un’assistenza adeguata alle pazienti a partire dalle primissime fasi fino al termine delle cure e anche negli anni successivi. La costituzione di un gruppo di senologia trasversale (senologo, chirurgo, oncologo) rende possibile una maggiore integrazione e una migliore qualità del servizio verso ogni singola paziente, che si sente meno disorientata.

A cura di Francesca Di Fronzo

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