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Prevenzione

Diagnosi precoce contro il glaucoma

19/11/2002

Per evitare che col tempo l’aumentata pressione all’interno dell’occhio possa danneggiare il nervo ottico e quindi la vista, chi soffre di glaucoma ad angolo aperto, cioè la forma più comune di questa malattia, dovrebbe farsi curare fin dalle fasi iniziali. E’ quanto hanno appurato alcuni ricercatori svedesi dell’Università di Malmoe che hanno pubblicato i risultati dei loro studi sulla rivista “Archives of Ophtalmology”.

L’importanza della diagnosi precoce nel glaucoma
Da molto tempo, infatti, si discute tra esperti dell’opportunità di sottoporre le persone sopra i 50 anni a un esame (la tonometria oculare) che permette di individuare un aumento della pressione del liquido contenuto nell’occhio: solo così, infatti, è possibile diagnosticare il glaucoma nelle fasi precoci, cioè in quelle in cui non ha ancora dato disturbi. Quando si verificano i sintomi, invece, è già tardi secondo l’opinione degli oculisti svedesi e il nervo ottico, che si trova subito dietro l’occhio, è già stato schiacciato e quindi danneggiato.

I risultati dello studio svedese: curare il glaucoma al suo esordio
Per dimostrare la fondatezza della loro opinione, i medici scandinavi hanno selezionato 255 pazienti tra i 50 e gli 80 anni con una forma lieve di glaucoma (cioè con una pressione dell’occhio intorno ai 20 mmHg): metà di loro è stata curata fin dall’inizio, l’altra metà solo quando la malattia ha cominciato a dare disturbi. Tutti i pazienti sono stati controllati ogni tre mesi. Dopo quattro anni la metà circa di coloro che non sono stati curati fin dall’inizio ha avuto un peggioramento importante della vista e un danno del campo visivo, mentre ciò è avvenuto solo nel 30 per cento dei pazienti trattati. “Che si debba curare il glaucoma fin dall’esordio è oramai una conoscenza assodata anche se non sempre applicata da tutti i medici: il problema sta proprio nel sospettare la malattia anche se questa non dà fastidio alla persona – spiega il dott. Fabrizio Camesasca, aiuto presso il reparto di Oculistica di Humanitas”.

I trattamenti consigliati dai ricercatori svedesi
I trattamenti proposti dagli oculisti svedesi sono due: beta-bloccanti in collirio oppure un intervento con il laser, la cosiddetta trabeculoplastica. Pur non pronunciandosi su quale sia il migliore secondo i loro dati, segnalano che studi pubblicati da altri dimostrerebbero una maggior efficacia dell’intervento sull’evoluzione della malattia nella lunga distanza.
“La trabeculoplastica col laser ad argon ottiene ottimi risultati, non è un intervento semplice e talvolta deve essere ripetuto dopo qualche anno – spiega Camesasca”.
Per evitare che il liquido in eccesso prema sul globo oculare, si praticano col laser 80-100 piccoli forellini in un’area che permette il drenaggio verso l’esterno. L’intervento richiede circa 15 minuti e in genere non provoca alcun dolore. Secondo alcuni studi, riduce di un terzo la pressione nell’occhio in otto pazienti su dieci.

Effetti collaterali del trattamento al laser
Molte delle persone operate hanno comunque bisogno del collirio, seppure in quantità minore, e nel 35 per cento degli operati c’è una fase iniziale in cui la pressione dell’occhio aumenta invece di diminuire e che va tenuta attentamente sotto controllo in attesa della normalizzazione. Altro effetto non voluto e che va controllato è l’aumento del rischio di sviluppare una cataratta dovuta proprio alla formazione di cicatrici. “Sono anni che si discute dell’opportunità di sottoporre i malati a trabeculoplastica col laser, senza giungere a una indicazione definitiva -precisa Camesasca – L’abitudine di prescrivere il collirio in prima battuta è troppo radicata tra i medici e non favorisce la diffusione della chirurgia come alternativa nel nostro Paese”.

Eppure, secondo la Società oftalmologica italiana (SOI) sarebbero 550mila i malati di glaucoma in Italia (cioè il 2 per cento della popolazione sopra i 40 anni), com una maggiore prevalenza al Nord (48 per cento), seguito dal Sud (28 per cento) e dal Centro (24 per cento). Ci si aspetta però nei prossimi anni un aumento della malattia del 33 per cento dovuto al progressivo invecchiamento della popolazione. Per ora non esistono screening ufficiali, ma la SOI consiglia di sottoporsi a una tonometria se dopo i 40 anni ci si accorge di essere diventati presbiti e quindi di aver bisogno di occhiali per leggere o se ci sono altri casi di glaucoma in famiglia. La forma ad angolo aperto, infatti, ha anche una base genetica e familiare ed essendo una malattia cronica per la quale non esiste una cura definitiva, deve essere tenuta a bada per prevenire gravi danni della vista o addirittura la cecità.

A cura di Daniela Ovadia

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