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Bellezza

La chirurgia estetica aiuta a diventare sé stessi

05/02/2015

La chirurgia estetica non è un burqa di carne ma, al contrario, può essere un modo per diventare veramente sé stessi.

Marco Klinger, responsabile dell’Unità operativa di Chirurgia Plastica all’Istituto Clinico Humanitas, risponde così alle dichiarazioni fatte dal cardinale Gianfranco Ravasi alla vigilia del Pontificio Consiglio della Cultura (Roma, 4-7 febbraio) su “Le culture femminili tra uguaglianza e differenza”.

«Se assumiamo che il burqa sia uno strumento di omologazione e violenza, la chirurgia estetica scelta correttamente e correttamente eseguita è esattamente il suo opposto: permette di togliere il “velo” rappresentato da un brutto difetto e di rivelare il vero volto di una persona». Addirittura, di rivelare la bellezza che questa persona sente di avere dentro di sé, ma che non viene percepita all’esterno.

«È un’esperienza che mi è capitata moltissime volte – dice ancora il prof. Klinger – e sono sicuro che lo stesso vale per i miei colleghi: pazienti che cambiano letteralmente carattere, che diventano più sereni e più sicuri dopo aver corretto un naso dal quale si sentivano oppressi e rughe nelle quali non si riconoscevano. Penso che non tutti debbano obbligatoriamente imparare a convivere con aspetti di sé che non amano. Qualcuno non riesce a farlo, qualcuno non vuole farlo. La chirurgia estetica è una possibilità, non un obbligo, e come tutte le cose della vita va scelta con intelligenza e consapevolezza».

 

La chirurgia estetica, uno strumento di libertà

Chirurgia estetica come strumento di libertà e “verità”, quindi, anche se, ovviamente, in una società sempre più dominata dal culto dell’immagine e della bellezza.

«Sono tratti caratteristici della cultura di questo momento storico – continua il prof. Klinger – ma trovo comunque importante non stigmatizzare la bellezza in sé e per sé, che tra l’altro per la visione cristiana è a immagine e somiglianza di Dio. Penso che siano da trattare con grande cautela ed eventualmente da fermare con un “no”, i casi di pazienti il cui desiderio di cambiare non nasce da motivazioni autonome, ma dal desiderio di diventare qualcun altro, o come qualcun altro vuole».

 

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