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Osteoporosi, i suoi segreti svelati nello spazio?

25/10/2016

Nuove armi contro l’osteoporosi potrebbero arrivare dallo spazio. Fra pochi mesi, nella primavera del 2017, sulla Stazione Spaziale Internazionale, sarà avviato un progetto di ricerca sull’indebolimento osseo, una condizione che può colpire particolarmente gli astronauti proprio per l’ambiente particolare in cui operano a migliaia di km di distanza dalla Terra. Ma, com’è noto, l’osteoporosi è uno dei disordini più diffusi a livello mondiale quindi se dovessero arrivare dati interessanti dalla ricerca ne potrebbero beneficiare milioni di persone.

Il progetto è finalizzato a indagare l’effetto della microgravità sulle cellule del sangue. In orbita, infatti, finirà un campione di sangue di Mauro Maccarrone, professore di Biochimica dell’università Campus Biomedico di Roma, il centro di ricerca che guida lo studio al quale partecipano anche le università di Roma Tor Vergata e Teramo, oltre alle agenzie spaziali Nasa ed Esa.

Sulle ossa agiscono forze meccaniche

La condizione in cui si trova chi opera nello spazio è appunto quella della microgravità, un assetto che impatta sul metabolismo osseo. Bastano poche settimane di permanenza nello spazio per andare incontro a un’alterazione dell’apparato muscolo-scheletrico dovuta al fatto che la forza di gravità è assente. La permanenza nello spazio funziona come un modello accelerato di quello che succede con l’invecchiamento e con l’inattività fisica. La ricerca in orbita servirà a capire se si potrà modificare, stimolandolo in laboratorio, il sangue dell’astronauta. Il sangue, prelevato prima della partenza, verrebbe re-iniettato in modo che l’impatto sull’apparato scheletrico possa quanto meno ridursi, ha spiegato Maccarrone.

(Per approfondire leggi qui: Osteoporosi, nel mondo una frattura ogni tre secondi. Come prevenirla?)

«La ricerca conferma come le ossa siano strutture anatomiche dinamiche, che vanno incontro a modificazioni, e di come su di esse agiscano delle forze meccaniche», ricorda il professor Carlo Selmi, responsabile di Reumatologia e immunologia clinica dell’ospedale Humanitas e docente all’Università di Milano. «Queste forze meccaniche esercitano un impatto sul metabolismo osseo. Basti pensare alla camminata o alla stessa posizione eretta che comportano un effetto protettivo alla salute delle ossa. Ecco perché già solo la semplice camminata veloce contribuisce a contrastare la perdita ossea e dunque l’osteoporosi».

L’effetto della microgravità su ossa è simile a quello sperimentato da chi è costretto a letto

Il progetto di ricerca sulla rampa di lancio non è il primo nel suo genere. In passato altri team di scienziati hanno cercato di scoprire qualcosa in più sull’osteoporosi sfruttando le missioni spaziali, «e anche l’effetto della microgravità sull’apparato muscolo-scheletrico degli astronauti è qualcosa di già noto», aggiunge lo specialista. «L’assenza di gravità porta anche a una riduzione della forza muscolare e induce una risposta diversa del sistema nervoso simpatico. Basti pensare a quello che succede quando da seduti ci alziamo in piedi e a quello che succede al nostro sistema cardiovascolare. In microgravità cambia tutto».

(Per approfondire leggi qui: Osteoporosi, incontinenza urinaria ko con l’esercizio fisico)

Come accennato la presenza dell’astronauta in orbita è peculiare ed è «paragonabile a quella di una persona costretta a letto dove le ossa non sono stimolate da alcuna forza meccanica. È come se l’organismo si adattasse a questa condizione innescando – chissà – una sorta di “risparmio” perdendo densità ossea», conclude il professor Selmi.

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