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Cuore, negli sportivi gli infarti sono meno severi?

10/05/2017

Più attività fisica, più probabilità di sopravvivere a un infarto. È quanto suggeriscono dei ricercatori della University of Copenaghen. Se a maggiori livelli di attività fisica sono associati infarti meno gravi, alla sedentarietà è associato invece un tasso più alto di mortalità. Tuttavia, avvertono gli autori della ricerca, lo studio non prova un rapporto causa/effetto tra attività fisica e protezione contro gli effetti più nefasti di un attacco di cuore. Il commento del dottor Alessio Cappelleri, cardiologo di Humanitas.

Lo studio – pubblicato su European Journal of Preventive Cardiology – ha preso in esame i dati di oltre 14 mila individui coinvolti in una precedente ricerca che non erano stati colpiti da ictus o infarto. All’arruolamento (tra il 1976 e il 1978) erano stati valutati i loro livelli di attività fisica. In base a questi i partecipanti erano stati divisi in quattro gruppi: i sedentari, i leggermente attivi, i moderatamente attivi e i molto attivi. Fino al 2013 sono stati registrati 1664 infarti dei quali 425 immediatamente mortali.

(Per approfondire leggi qui: Attività fisica, protegge il cuore anche in caso di sovrappeso e obesità)

I ricercatori hanno confrontato i livelli di attività fisica dei soggetti colpiti da infarti letali con quelli di chi, invece, era sopravvissuto all’attacco di cuore. Ebbene, i soggetti più fisicamente attivi avevano meno probabilità di morire a seguito di un infarto rispetto ai sedentari. Il team ha rilevato anche una relazione “dose-risposta” tra livelli di attività fisica e mortalità da infarto: a livelli leggeri e moderati/alti di esercizio fisico era associata, rispettivamente, una riduzione del 32% e del 47% delle probabilità di morire per infarto rispetto ai sedentari.

Movimento utile non solo per i soggetti sani

In conclusione, essendo uno studio osservazionale, i ricercatori non hanno appurato una relazione causale tra l’attività fisica e le maggiori chance di sopravvivenza dopo un infarto. I dati, prima di poter fare delle raccomandazioni precise, devono essere confermati da altri studi. Ciononostante, è sempre possibile continuare a raccomandare di praticare attività fisica anche dopo aver sviluppato aterosclerosi, dicono gli studiosi.

(Per approfondire leggi qui: Cuore, in palestra per sfogare la rabbia? Può salire rischio di infarto)

«Il beneficio dell’attività fisica sulla prevenzione e la riduzione del rischio cardiovascolare è ormai nota da anni. I meccanismi non sono sempre conosciuti e potrebbero derivare da numerosi fattori, siano essi ormonali, meccanici, locali e sistemici», aggiunge il dottor Cappelleri. «Di sicuro – continua – c’è che l’attività fisica provoca una diminuzione della frequenza cardiaca a riposo con il conseguente calo del consumo di ossigeno miocardico e della pressione arteriosa sistemica, mentre fornisce un aumento della gittata cardiaca e della forza di contrazione miocardica. L’esercizio continuo e costante e soprattutto aerobico aumenta inoltre la formazione locale e sistemica di un importante vasodilatatore, il nitrossido di azoto (NO), che fornisce un importante aiuto nella vasodilatazione arteriosa e anche nella diminuzione dei valori di PA. Pertanto l’esercizio fisico è importante sia nel soggetto sano, sia nel paziente cardiopatico».

Attività fisica fondamento della terapia non farmacologica delle malattie cardiache

«Sono da sfatare quelle paure legate alla morte negli sportivi e condizionate da un uso improprio della terminologia medica. Negli sportivi non si parla di attacco cardiaco o di infarto, ma di morte cardiaca improvvisa legata a cardiopatie aritmogene presenti per lo più già dalla nascita. È giusto essere cauti in tema di studi scientifici, ma è altresì vero che la raccomandazione dell’attività fisica è un caposaldo della terapia non farmacologica delle cardiopatie», conclude il dottor Cappelleri.

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