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Alzheimer, verso una nuova terapia grazie a una proteina “anti-tossica”?

31/12/2016

Novità sull’Alzheimer. Da una ricerca pubblicata su Science arrivano preziose informazioni sui processi cellulari che portano alla malattia e, in particolare, sul ruolo di una proteina. Grazie a queste evidenze si potrebbero definire nuove opzioni di trattamento con cui rallentare la progressione della patologia neurodegenerativa.

Il team della University of New South Wales (Australia), analizzando dei tessuti cerebrali umani, ha identificato una proteina (chinasi p38γ) che scompare con la progressione dell’Alzheimer. Grazie a dei test su modelli sperimentali si è visto come la reintroduzione di questa proteina mostrasse effetti protettivi nei confronti dei deficit di memoria associati alla malattia.

(Per approfondire leggi qui: Matteoli: “Contro l’Alzheimer arricchiamo la nostra riserva cognitiva”)

Com’è noto, due tratti distintivi della malattia sono la presenza delle placche di beta-amiloide, una proteina, e di “grovigli tossici” di un’altra proteina, la tau nel cervello: la morte cellulare, l’atrofia cerebrale e i deficit mnemonici ne sono conseguenza. In precedenza, spiega il team, si pensava che la beta-amiloide modificasse (tramite un processo detto di fosforilazione) la proteina tau causando la formazione di “grovigli” e la morte cellulare.

La quantità di questa proteina si riduce in presenza della malattia

Quest’ultima ricerca suggerisce invece come la fosforilazione della proteina tau abbia inizialmente un effetto protettivo sui neuroni e che la beta-amiloide aggredisca questa capacità protettiva finché non viene lentamente persa. A questo punto cosa succede? La tossicità determina la distruzione dei neuroni risultando così nei deficit cognitivi associati alla malattia. In altre parole, la beta-amiloide prima di “intossicare” i neuroni, con la fosforilazione della tau in realtà riduce la tossicità.

Ebbene, dalla ricerca è emerso come la proteina chinasi p38γ sostiene la fosforilazione protettiva della tau e interferisce con la tossicità creata dalla beta-amiloide. Con l’avanzare della malattia questa proteina scompare ma non del tutto: un suo residuo è ancora presente nel cervello dei pazienti con Alzheimer.

(Per approfondire leggi qui: Alzheimer, dalla ricerca un anticorpo che distrugge le placche nel cervello)

«Lo studio dimostra che la fosforilazione della tau è parte di una risposta volta a inibire la tossicità. Questa evidenza è in opposizione al concetto tradizionale che la fosforilazione della tau a valle della tossicità della beta-amiloide rappresenta una risposta patologica», spiega il professor Alberto Albanese, responsabile di Neurologia dell’ospedale Humanitas. «Inoltre – continua – lo studio mostra l’equilibrio di bilanciamento tra la chinasi p38γ (che tende a limitare la tossicità della beta-amiloide) e le chinasi p38α e p38β, che hanno un effetto opposto».

La proteina p38γ può diventare un bersaglio terapeutico del trattamento dell’Alzheimer?

«È presto per pensare a dei risvolti clinico-terapeutici immediati. Tuttavia, se questa scoperta sarà confermata, consentirà di considerare aspetti nuovi del processo di fosforilazione. La chinasi p38γ o altre proteine collegate alla fosforilazione potrebbero rappresentare target terapeutici da colpire in fasi precoci della malattia di Alzheimer per rallentarne il decorso».

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