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Tumore prostata: cos’è il PSA, il test che “ha salvato la vita” a Ben Stiller

11/10/2016

Il popolare attore americano Ben Stiller ha comunicato con un tweet di aver sconfitto un tumore alla prostata. La diagnosi, la terapia e la guarigione sono datate 2014, da luglio a settembre, quando la star non aveva ancora compiuto 49 anni: «Ho avuto un cancro, due anni fa, voglio parlare di questo. E del test che mi ha salvato la vita», ha scritto. Del modo in cui è arrivata la diagnosi e del test che ha permesso di individuare il tumore alla prostata l’attore ne parla in una lettera pubblicata sul sito di Cancer Moonshot, un progetto per raccogliere fondi contro il cancro.

Il test è quello del PSA, Prostatic Specific Antigene, l’Antigene Prostatico Specifico, un marcatore il cui dosaggio viene misurato in un prelievo di sangue. «Quel test mi ha salvato la vita. Se oggi sto bene è perché ho avuto un medico che mi ha fatto fare quel test. Se avessi aspettato fino ai 50, come raccomanda l’American Cancer Society, avrei scoperto quel cancro dopo due anni», ha scritto la star.

Nella sua confessione Stiller si sofferma sull’importanza di questo test e della prevenzione, anche se non si sono avuti casi di tumore prostatico in famiglia: «Spero che la mia testimonianza possa spronare tutti, e in particolare i giovani, a informarsi sui sintomi del tumore alla prostata e a fare esami frequenti». Come sottolinea l’attore la sua è una testimonianza che non sposa un punto di vista scientifico ma è solo figlia dell’esperienza.

Il test del PSA è stato introdotto su larga scala negli anni ’90

Da allora è cambiata l’incidenza del tumore prostatico che oggi in Italia rappresenta la neoplasia più frequente tra gli uomini. L’aumento delle diagnosi si spiega proprio alla luce della maggiore diffusione di questo test oltre che dell’aumento dell’età media.

(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, il rischio aumenta con un girovita più largo?)

Di recente però il test è stato criticato per il ruolo che può avere nella diagnosi precoce del carcinoma prostatico, come spiega il dottor Massimo Lazzeri, urologo dell’ospedale Humanitas: «Due studi condotti su un largo numero di persone hanno dato risultati contraddittori sull’utilità del PSA. Il primo, PLCO (Prostate, Lung, Colorectal and Ovarian Cancer Screening Trial), condotto negli Usa, non ha dimostrato un’utilità dello screening con il test del PSA nella riduzione della mortalità per tumore prostatico, mentre il secondo ERSPC (European Randomized Study of Screening for Prostate Cancer) ha evidenziato una riduzione del 25% della mortalità per tumore alla prostata nei pazienti sottoposti a PSA ogni 3 anni rispetto a chi non avesse eseguito il test».

Anche la “sensibilità” del PSA è stata criticata. Non è detto che permetta di individuare con certezza la presenza di un tumore bensì di «un disturbo alla prostata che non necessariamente si manifesta come un tumore. In passato si credeva che il limite fosse 4: se il valore era inferiore significava che il soggetto stava bene. Se il valore era superiore si presumeva la presenza di una neoplasia. Poi si è scoperto che non esiste un valore assoluto, ma occorre analizzare bene le caratteristiche del paziente. Per esempio il cancro è stato scoperto anche in pazienti che presentavano un PSA pari a 3. Allo stesso modo, un valore superiore a 4 può indicare un disturbo d’organo diverso dal cancro».

Chi dovrebbe sottoporsi al test del PSA in ogni caso?

«Gli uomini tra 55 e 69 anni d’età. Prima dovrebbero sottoporsi al test le persone che appartengono alle categorie a rischio: i soggetti con familiarità e gli afroamericani. Ma per arrivare a un’eventuale diagnosi di tumore prostatico è importante instaurare un rapporto di fiducia con l’urologo ed eseguire visite costanti a partire dai 40 anni. Solo lo specialista sa interpretare i fattori di rischio del singolo paziente e prescrivere gli esami nel modo più corretto valutando costi e benefici».

(Per approfondire leggi qui: Tumore prostatico e disfunzione erettile, quale relazione?)

Ultimamente si è andati alla ricerca di nuovi marcatori per la diagnosi di questa neoplasia: «L’equipe del professor Giorgio Guazzoni, responsabile dell’UO di Urologia di Humanitas, nel 2013 ha pubblicato uno studio sul British Journal of Urology International in cui dimostrava l’efficacia di un nuovo test, quello del PHI, proprio in pazienti con familiarità positiva per un carcinoma prostatico. Con questo esame è possibile diminuire il numero di biopsie inutili e ridurre e i sovratrattamenti rispetto all’impiego del solo PSA», conclude il dottor Lazzeri.

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