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La voglia di caffè è dettata dal DNA?

30/08/2016

A differenziare chi beve molto caffè da chi invece può star bene anche con una tazzina al giorno potrebbe essere un gene. Anzi, una mutazione genetica che sembrerebbe spingere a consumare meno caffè. A sostenerlo sono dei ricercatori provenienti, tra l’altro, dalle università di Trieste e di Edimburgo in uno studio pubblicato su Scientific Reports.

Il gene in questione è il gene PDSS2: le persone che lo presentano mutato tenderebbero a consumare quantità inferiori della bevanda nera per eccellenza. Secondo la ricerca questo gene mutato ridurrebbe la capacità delle cellule di scomporre, metabolizzare la caffeina prolungandone così la permanenza nell’organismo. Quindi una persona non avrebbe bisogno di consumare così tanto caffè per avere la stessa carica di caffeina, dice il team, ma ne berrebbe di meno perché la caffeina resterebbe in circolo più a lungo.

La ricerca sul “gene del caffè” è stata condotta anche in Italia

Il team ha guardato al patrimonio genetico di 370 persone di un piccolo paese in provincia di Foggia e a 843 abitanti di sei paesi del Friuli-Venezia Giulia. A ciascuno è stato chiesto di indicare quante tazzine di caffè bevesse al giorno. Le persone con questa mutazione genetica tendevano a consumare meno caffè di chi invece non ne era dotato, circa una tazza di caffè in meno al giorno.

(Per approfondire leggi qui: Sensibilità al glutine, a causarla una barriera intestinale difettosa?)

Lo studio è stato poi replicato in un gruppo di 1731 olandesi. Il risultato era simile ma le conseguenze sul consumo di caffè erano leggermente diverse: la differenza tra chi aveva il gene mutato e chi no era inferiore rispetto a quella ravvisata in Italia. Probabilmente perché le abitudini di consumo di questa bevanda sono diverse: in Italia si tende a bere in tazze più piccole mentre in Olanda si preferiscono tazze più grandi e dunque a introdurre più caffeina.

«Si tratta di un’associazione tra una variante genetica e quello che chiameremmo un “fenotipo”. In altre parole è stata trovata una frequenza maggiore di questa variante in chi beve meno caffè rispetto a chi ne consuma di più», spiega il dottor Paolo Vezzoni, ricercatore del CNR e direttore del Laboratorio di Biotecnologie Mediche di Humanitas. «Alla base ci sarebbe anche una spiegazione biochimica, ovvero il riferimento a una proteina coinvolta nel metabolismo della caffeina. Tuttavia i numeri della ricerca sono un po’ esigui: servirebbero ulteriori evidenze da studi condotti su popolazioni più ampie».

La tendenza al consumo alimentare, e persino i gusti possono essere scritti dunque nei nostri geni?

«Sicuramente la genetica dà un contribuito importante, basti pensare al modo in cui digeriamo e metabolizziamo ciò che mangiamo. Si possono mettere ad esempio a confronto due persone, una che segue una dieta rigida e ha valori di colesterolo alti e uno che segue invece una dieta varia ma ha livelli normali di colesterolo. La genetica dunque c’entra con l’alimentazione: un esempio classico è dato dalla tolleranza al lattosio, sviluppata quando, come Homo sapiens, abbiamo cominciato a consumare latte e derivati, che è regolata da specifici geni», conclude lo specialista.

(Per approfondire leggi qui: “Il caffè fa male al fegato”, vero o falso?)

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