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Farmaci biologici e malattie autoimmuni

28/04/2009

Le scoperte della biologia molecolare sono alla base delle nuove terapie per “spegnere” l’infiammazione.

Le scoperte su quali sono e come agiscono le molecole coinvolte nei meccanismi di attivazione del sistema immunitario ci hanno permesso di identificare nuovi ‘bersagli molecolari’ sui quali agire per controllare questi processi, ‘spegnendo’ l’infiammazione quando diventa un fenomeno patologico, come accade nelle malattie autoimmuni e infiammatorie croniche. Le tecniche di biologia molecolare ci consentono di sviluppare farmaci biologici innovativi in grado di agire su questi obiettivi. Tali approcci, pur non essendo risolutivi, hanno restituito una vita spesso normale ai pazienti affetti da alcune patologie estremamente invalidanti, come il morbo di Crohn e l’artrite reumatoide. Ma la ricerca in questo settore continua a riservare sorprese incoraggianti. Ad esempio, recentemente uno di questi farmaci biologici utilizzato per bloccare una molecola del sistema immunitario, l’Interleuchina 1 (IL-1), si sta rivelando utile nelle persone colpite dal diabete. Si tratta di dati che richiedono ulteriori conferme, ma che dimostrano come questi composti potrebbero essere efficaci su una gamma più ampia di patologie, spiega il prof. Alberto Mantovani

Le ragioni per cui si scatenano le malattie autoinfiammatorie come il lupus eritematoso, la sclerodermia, l’artrite reumatoide e la spondilite anchilosante sono quasi del tutto sconosciute. Purtroppo, non disponiamo ancora di terapie risolutive. Quello che si può fare è identificare la strategia migliore per ridurre la sintomatologia e consentire al paziente un’esistenza migliore. Per questo in genere al paziente viene dapprima somministrato del cortisone, utile nel breve periodo per ridurre il dolore e la tumefazione articolare. Questa soluzione non può durare a lungo poiché può avere importanti effetti collaterali sulla glicemia, sulla pressione e sul livello di colesterolo nel sangue, solo per citare i principali. Contestualmente forniamo anche quella che noi chiamiamo ‘terapia di fondo’, che impiega qualche settimana ad agire (e questo è il motivo per cui intanto viene somministrato il cortisone) e che oggi si basa come farmaco di prima scelta sul methotrexate, un potente agente immunosoppressore nato come farmaco oncologico. In bassi dosaggi, si è rivelato efficace anche nel contrastare l’artrite reumatoide e ha trovato, quindi, un’ampia applicazione in molte malattie autoimmuni. Quando il methotrexate si dimostra insufficiente e la malattia è particolarmente aggressiva allora può essere associato ai farmaci biologici, che si stanno rivelando gli strumenti più validi per restituire al paziente le funzioni perdute.

In entrambi i casi, prima di effettuare queste terapie è necessario verificare che non vi siano infezioni come l’herpes zoster, e in particolare la tubercolosi, poiché queste cure potrebbero favorirne la riattivazione. Fondamentale, in ogni caso, è giungere al più presto alla diagnosi della malattia, per contenere i danni che questa può provocare e che, col procedere del tempo, rischiano di diventare irreversibili. Di fronte a una forma particolarmente aggressiva sarebbe utile intervenire tempestivamente con le armi più potenti a nostra disposizione, che attualmente sono proprio i biologici. Sfortunatamente, però, esistono ancora dei limiti al loro impiego.
In ogni caso la ricerca sta andando avanti. Soltanto fino a pochi mesi fa si utilizzavano farmaci biologici che, agendo su un’unica classe di molecole, potevano risultare meno efficaci su alcuni pazienti. Oggi, invece, sono a disposizione sostanze che hanno come bersaglio molecole diverse e, quindi, è possibile scegliere la terapia più adatta in base all’effettiva risposta della persona. Il passo successivo sarà utilizzare presidi terapeutici specifici, ‘disegnati’ sul profilo genetico di ciascun individuo.

Spegnere le molecole che danneggiano l’intestino
Farmaci biologici e genetica stanno aprendo nuove prospettive anche per la terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali, come morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa. Fino a 10 anni fa erano poche le cure per queste patologie, che colpiscono più di 4 milioni di persone nel mondo e circa 200 mila solo in Italia. Così, i pazienti andavano incontro a ripetuti interventi chirurgici. Oggi invece farmaci diversi permettono di tenere sotto controllo l’infiammazione: grazie alla ricerca, che negli ultimi anni ha compiuto importanti progressi e ha aperto la strada a prospettive terapeutiche innovative. Secondo gli specialisti di Humanitas, la ricerca ci sta aiutando ogni giorno ad aggiungere nuove tessere nel puzzle che costituisce la complessa serie di molecole alla base dell’infiammazione intestinale. Una di queste è il TNF (Tumor Necrosis Factor): perciò l’utilizzo di farmaci che bloccano il TNF rappresenta una delle migliori armi a disposizione nella pratica clinica moderna.

La ricerca clinica più avanzata sta valutando se l’introduzione sempre più precoce di questi farmaci possa modificare la storia naturale delle malattie infiammatorie croniche intestinali apportando lunghi periodi di remissione. Ma l’obiettivo di ‘spegnere’ le molecole che fanno dialogare i linfociti attivati che danneggiano l’intestino non si ferma al TNF: sono in fase di sperimentazione nuovi e potenti farmaci rivolti contro diverse molecole ‘dannose’, come altre interleuchine”. Stanno proseguendo, quindi, gli studi per individuare altri farmaci in grado di intervenire e controllare le molecole coinvolte nella risposta immunitaria anomala. Ma nel frattempo la ricerca ha svelato un altro dei segreti del morbo di Chron. È stata identificata un’anomalia genetica che sembra associata alla malattia. Si tratta dell’incapacità di produrre una certa proteina in grado di distinguere i batteri. Ciò espone maggiormente l’organismo al rischio di attacchi più violenti e incontrollati da parte di agenti esterni e, quindi, a una risposta immunitaria che può diventare eccessiva, contribuendo allo sviluppo della patologia. Ora i nostri sforzi sono concentrati nello studio di un sistema adeguato a contrastare anche questo fenomeno.

Il futuro: la farmaco-genomica
La prossima frontiera del progresso medico è considerata la farmaco-genomica. Si tratta di un altissimo livello di personalizzazione delle cure, che soltanto oggi comincia a profilarsi all’orizzonte e che comunque richiederà ancora diversi anni di ricerche di base e di complessi studi clinici prima di diventare una concreta possibilità terapeutica. Secondo Alberto Mantovani, è importante guardare al domani con ottimismo, ma senza dimenticare alcuni aspetti critici. Dobbiamo tenere presente che qualunque grado di personalizzazione delle terapie deve sempre avvenire all’interno di rigorosi protocolli clinici, che garantiscano al paziente il più elevato standard di efficacia, qualità e sicurezza. Non possiamo dimenticarci che tutte le cure, per quanto innovative e personalizzate, presentano sempre la possibilità di effetti collaterali. Il medico, assieme al paziente deve valutare con molta attenzione il rapporto tra i rischi e i benefici. Inoltre, si tratta di terapie ancora estremamente dispendiose.
Infine, è fondamentale sostenere la ricerca perché, nonostante le grandi conquiste raggiunte negli ultimi anni, rimangono ancora molti dubbi e domande insolute cui la scienza deve dare una risposta, per poter veramente costruire una medicina su misura del singolo individuo.

Terapie mirate e farmaci biologici: cosa sono?
Per terapie mirate si intendono farmaci di nuova generazione, cosiddetti “intelligenti”, che colpiscono bersagli precisi, intervenendo su molecole specifiche che sostengono la crescita tumorale. L’obiettivo delle terapie mirate è “circoscrivere il bersaglio”, colpendo la malattia nei suoi centri vitali e risparmiando il più possibile gli organi, i tessuti, le cellule sane. Questi farmaci possono essere “sintetici”, se creati ex-novo nei laboratori, oppure “biologici”, se basati su un componente del nostro organismo, per lo più una proteina.

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