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Parkinson, deficit dell’olfatto e disturbi del sonno tra i segnali precoci

23/11/2015

La malattia di Parkinson colpisce in Italia 300mila persone e interessa indirettamente un numero di gran lunga maggiore se si considerano familiari e caregiver. A tutti loro, pazienti e non, è dedicata la Giornata Nazionale del Parkinson, il prossimo 28 novembre, un’iniziativa dell’Accademia Limpe-Dismov. “Pro Muovi Amo La Ricerca”, recita il suo slogan: è necessario concentrare lo sforzo di tutti per aiutare la comunità scientifica a scoprire di più su questa malattia neurodegenerativa.

Su tutto il territorio nazionale, nelle strutture aderenti, i medici saranno a disposizione per fornire tutte le informazioni utili sul Parkinson. Tra queste anche l’ospedale Humanitas: porte aperte, il 28 novembre, per pazienti, familiari e caregiver dalle 9 alle 13. Gli specialisti risponderanno alle loro domande e illustreranno protocolli, attività assistenziali e di ricerca.

Locandina GNP 2015Nella sala B dell’auditorium verranno allestite scrivanie personalizzate con locandine indicanti i diversi specialisti che il paziente potrà incontrare: fisiatra, internista, neurologo, neuroradiologo, neurochirurgo.

Diverse diagnosi di Parkinson in età precoce anche grazie a medici di famiglia

Nell’immaginario collettivo la malattia di Parkinson è associata immediatamente alla terza età, ma questo è un dato da riconsiderare. Sebbene il Parkinson colpisca in particolare fra i 59 e i 62 anni, la malattia può esordire anche in età meno avanzata. Come sottolineano Limpe e Dismov, l’età d’esordio è sempre più giovane: 1 paziente su 4 ha meno di 50 anni e 1 su 10 meno di 40.

(Per approfondire leggi qui: Alzheimer, dal caffè un aiuto contro demenza e declino cognitivo?)

«Ci sono diversi casi di Parkinson diagnosticato in età più precoce anche perché i medici di famiglia sono più attenti e sensibili ai sintomi che possono portare a un sospetto di Parkinson giovanile. La medicina è in grado di fare diagnosi quando la malattia è davvero all’esordio», spiega il professore Alberto Albanese, responsabile di Neurologia di Humanitas.

Ma quali sono i primi campanelli d’allarme che possono far sospettare l’insorgenza del Parkinson?

«Come in tutte le malattie neurodegenerative ci sono alcuni segni precoci come la riduzione del senso dell’olfatto che non trova altre possibili spiegazioni, oppure la perdita della fisiologica inibizione dei movimenti nel sonno. Quando dormiamo, infatti, siamo naturalmente “costretti” a non muoverci, anche se sogniamo scene molto attive e dinamiche. Anni prima della comparsa dei sintomi motori tipici del Parkinson, invece, alcuni pazienti possono cominciare ad avvertire questi movimenti nel sonno: si agitano e scalciano, ad esempio, mentre sognano».

(Per approfondire leggi qui: I disturbi del sonno, come curarli)

Tra possibili segnali precoci anche la sindrome delle gambe senza riposo

Anche un altro campanello d’allarme riguarda il sonno: «È la sindrome delle gambe senza riposo: si avvertono dei formicolii che si cerca di tenere a bada con un movimento attivo delle gambe, e ciò rende difficile addormentarsi. Se si manifestano questi segni si possono individuare i soggetti a rischio prima della comparsa dei sintomi motori tipici del Parkinson come il tremore e la lentezza dei movimenti».

Negli ultimi anni la ricerca si è dedicata a settori quali le terapie del Parkinson e la prevenzione, inclusa la possibile messa a punto di un vaccino. «Il vaccino su cui sta lavorando la ricerca – specifica il professore – è un concentrato di anticorpi in grado di colpire le proteine che si accumulano nei neuroni, un tratto tipico delle malattie neurodegenerative».

(Per approfondire leggi qui: Staminali e prospettive terapeutiche: cosa ci riserva il futuro?)

Infine il capitolo terapie. Se per i trattamenti dei sintomi del Parkinson ci sono diverse terapie, per quelle «preventive, destinate ai soggetti a rischio perché predisposti, e quelle “curative” ci sono solo delle indicazioni che la ricerca sta approfondendo con un discreto margine di successo. Ad esempio la cosiddetta “neuroprotezione”: diversi studi stanno testando dei farmaci che modificano il processo morboso della malattia», conclude il professor Albanese.

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