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Diabete di tipo 2, con un test è possibile prevederlo entro 5 anni

03/09/2015

Prevedere l’insorgenza di diabete di tipo 2 fino a 5 anni dalla sua comparsa con un semplice test diagnostico. È questa la conclusione di una ricerca condotta dall’Università di Roma Tor Vergata e dall’Università Magna Graecia di Catanzaro pubblicata su The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism.

L’esame diagnostico è la curva glicemica o test da carico di glucosio, usato in particolare per le donne in gravidanza a rischio diabete gestazionale, che misura la concentrazione di glucosio nel sangue prima e due ore dopo la somministrazione orale di una soluzione di 75 grammi glucosio. Secondo i ricercatori italiani, però, dev’essere considerato anche il parametro del carico di glucosio a un’ora dalla somministrazione che permetterebbe di individuare una categoria di persone a rischio elevato per sviluppo di malattia metabolica.

Dai risultati è emerso che le persone con valori di glicemia maggiori di 155 mg/dl a un’ora dall’assunzione di glucosio, hanno un rischio maggiore di sviluppare il diabete di tipo 2 rispetto a quelli con alterata glicemia a digiuno, una condizione di rischio secondo le linee guida internazionali e nota anche come “prediabete”. Il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 è maggiore del 400%.

Secondo i ricercatori queste persone presentano due caratteristiche tipiche del diabete tipo 2: una ridotta sensibilità insulinica e una ridotta funzione secretoria da parte delle cellule beta pancreatiche. Approfondiamo l’argomento con i professionisti di Humanitas.

Perché queste due caratteristiche di ridotta funzionalità sono due condizioni di rischio diabete, come suggerisce la ricerca?

Il diabete tipo 2 riconosce come causa entrambe le situazioni: ridotta sensibilità periferica all’azione dell’insulina significa che l’insulina normalmente prodotta dal pancreas endocrino ha maggiore difficoltà a svolgere la sua azione sugli organi bersaglio (fegato, muscolo, tessuto adiposo) con ridotta captazione da parte loro del glucosio normalmente circolante a livello ematico, necessitando di maggiore produzione di insulina per normalizzare l’iperglicemia secondaria. Da qui la presenza di iperinsulinemia, condizione spesso legata ad obesità e sindrome metabolica, ma comune anche ad altre patologie, tipo ovaio policistico (fenomeno anche noto come insulino-resistenza).

La ridotta funzione secretoria da parte delle cellule beta pancreatiche può essere rappresentata da una alterata risposta allo stimolo glicemico, la cui causa si può ricercare anche nella ridotta presenza di altri ormoni (detti incretinici) il cui utilizzo rappresenta una valida terapia per il trattamento del diabete tipo 2, oppure una diminuita secrezione di insulina secondaria all’iperinsulinemia persistente (sostanzialmente la cellula beta viene troppo sollecitata e lentamente smette di funzionare), ed in quel caso bisogna assumere l’insulina dall’esterno».

«Questo ed altro ancora (elevata soglia renale per il riassorbimento del glucosio, alterata funzione endocrina del tessuto adiposo) rappresentano le basi fisiopatologiche per lo sviluppo della malattia diabetica, che non è quindi una unica entità nosologica ma un insieme di sindromi. Il cercare di individuare il fattore maggiormente responsabile (fenotipizzare il diabete) permette di orientare al meglio la terapia farmacologica più adeguata.

Quali sono le possibili ricadute di questa ricerca da un punto di vista clinico?

Dal punto di visita clinico purtroppo non sembrano esserci grandi ricadute, l’esecuzione della curva glicemica da carico attualmente è indicata solo per identificare il diabete gravidico, mentre per uno screening in larga scala sarebbe troppo oneroso ed è sufficiente eseguire una glicemia a digiuno soprattutto nei soggetti con elevata predisposizione (familiarità per diabete, ipertesi, obesi, dislipidemici) almeno una volta all’anno, spiegano gli specialisti. (Per approfondire leggi qui: Gravidanza: l’identikit del diabete gestazionale).

Importante è di non minimizzare il riscontro di valori di glciemia “non normali” (>100 mg/dl) e se rilevati, approfondire ulteriormente secondo le linee guida attualmente in vigore, agendo  il più possibile con terapia comportamentale volta a modificazioni dello stile di vita. Intervenire su dieta, attività fisica ed abitudini voluttuarie potrebbe ridurre notevolmente l’insorgenza di ictus ed infarti al miocardio.

Perché è importante diagnosticare il “prediabete”?

Individuare i soggetti maggiormente a rischio per patologia metabolica è molto importante. Il danno che l’iperglicemia provoca sui vasi e che porta poi allo sviluppo delle complicanze micro-macro angiopatiche, purtroppo inizia anni prima della diagnosi clinica di diabete senza dare particolari segni o sintomi. L’avere a disposizione degli strumenti clinici permette di ulteriormente selezionare quei soggetti che necessiterebbero oltre che trattamenti non farmacologici adeguati (non fumare, attività fisica adeguata, dieta corretta) anche l’ottimizzazione di trattamenti farmacologici con target specifici per tenere controllata pressione arteriosa, valori di colesterolemia e uricemia, concludono i professionisti.

 

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