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Citomegalovirus in gravidanza, poche regole d’igiene per la prevenzione

03/09/2015

La trasmissione di citomegalovirus da madre a figlio in gravidanza si può evitare con semplici regole d’igiene. Sapere quali regole seguire è fondamentale per non contrarre il virus. La conferma arriva da uno studio realizzato da ricercatori dell’Università di Torino e del Policlinico San Matteo di Pavia pubblicato sulla rivista EbioMedicine.

Il citomegalovirus è un agente infettivo piuttosto comune. L’infezione congenita avviene per via transplacentare. Quella materna può essere primaria o non primaria. Le infezioni non primarie consistono nella riattivazione di un’infezione latente o reinfezioni con un nuovo ceppo di citomegalovirus. In questo caso la probabilità che il virus si trasferisca al feto è limitata all’1% dei casi.

L’infezione primaria, invece, insorge quando la madre entra a contatto con il virus per la prima volta. Questo accade in circa l’1-4% delle donne in gravidanza e in questo caso la probabilità di trasmissione del virus al feto sale fino al 30- 40% (fonte dati: Omar, Osservatorio malattie rare).

Lo studio in questione dimostra che una donna ben informata su quali norme igieniche seguire è in grado di evitare per la prima volta l’infezione durante la gravidanza. Nel gruppo di donne gravide non informate l’incidenza dell’infezione è stata del 9%, in quelle informate di circa l’1%.

Come può contrarre il citomegalovirus una donna gravida?

«Generalmente le persone più esposte sono quelle che sono spesso a contatto con bambini molto piccoli. È più comune la trasmissione del citomegalovirus durante una seconda gravidanza, quando la mamma ha già a casa un altro bimbo, oppure chi lavora nelle scuole materne o negli asili nidi», risponde la dottoressa Annamaria Baggiani, responsabile del Servizio di Infertilità Femminile e Procreazione Medicalmente Assistita di Humanitas Fertility Center.

Quali sono le norme da seguire per evitare la trasmissione del citomegalovirus?

«Dal momento che il virus si trasmette prevalentemente attraverso la saliva, i consigli di igiene che diamo alle donne gravide sono quelli di lavarsi spesso le mani, di non condividere quegli oggetti che il bambino può aver messo in bocca, dalle posate ai bicchieri al ciuccio, fino a non baciare sulle labbra il piccolo».

Cos’è l’infezione congenita da citomegalovirus?

«È quando il contagio avviene per via transplacentare, quando cioè il virus viene trasmesso dalla madre al feto in gravidanza. L’infezione è più grave se la madre è sieronegativa, cioè se non ha mai contratto il virus. Chi invece si è già ammalato non è immune e può contrarre la malattia una seconda volta, in questo secondo caso però l’infezione è meno preoccupante».

Come si può capire se la donna ha contratto il virus in gravidanza?

«Con un esame che non è incluso di routine tra gli esami concezionali a cui devono essere sottoposte le donne incinte, come ad esempio quello per la rosolia. È comunque consigliabile farlo in fase preconcezionale o nelle primissime settimane di gravidanza, per vedere se la donna è sieronegativa, sia entro la 20ma settimana. In quest’ultimo caso si può capire se è avvenuta una sieroconversione, cioè se c’è stato un contagio materno, e dunque monitorare meglio la gravidanza stessa, con delle ecografie di II livello e, in alcuni casi con una amniocentesi per individuare la presenza del virus nel liquido amniotico».

Cosa provoca nel nascituro l’infezione da citomegalovirus?

«In caso di passaggio transplacentare del virus non necessariamente si verificherà una infezione fetale: al contrario, nell’85-90% dei casi l’infezione è asintomatica. Nella restante percentuale le conseguenze della trasmissione possono essere visibili alla nascita, in particolare con sordità, problemi neurologici, ittero o emorragie cutanee, in altri casi anche in corso di gravidanza come il ritardo di accrescimento fetale o una epatomegalia».

C’è un vaccino contro il citomegalovirus?

«Un vaccino ancora non c’è ed è in fase di sperimentazione l’impiego delle immunoglobuline come mezzo di prevenzione delle infezioni fetali», conclude la dottoressa.

 

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