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Giacomo Massè: una vita per l’Ortopedia

23/06/2005

Torinese, una lunga carriera medica alle spalle in una disciplina, l’Ortopedia, che negli ultimi anni ha subito un’evoluzione inarrestabile. Conosciamo più da vicino il prof. Giacomo Massè, attualmente responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia Generale della Clinica Cellini di Torino.

Perché ha scelto la Medicina, ed in particolare l’Ortopedia?
“In realtà un po’ per caso. Inizialmente volevo fare Ingegneria: non avrei mai pensato di diventare medico, anche perché quelle rare volte che mi era capitato di entrare in un ospedale mi ero sempre sentito male alla vista del sangue.
Al liceo classico ero uno dei più bravi in matematica e fisica: due materie che adoravo e studiavo senza nessuna difficoltà. Alla maturità il preside della mia scuola, che era presidente della commissione d’esame, per fare bella figura mi fece una specie di quarto grado in queste materie, con il risultato che venni rimandato in matematica e fisica! Così, quando fu il momento di scegliere a quale facoltà universitaria iscrivermi, ero dubbioso. E mi lasciai convincere da un carissimo amico, costretto dai suoi genitori ad iscriversi a Medicina, a tentare insieme a lui questa strada, rendendo così felice mia madre, che da sempre coltivava il sogno di avere un figlio medico.
Iniziai l’Università senza troppa convinzione, ma poi via via mi appassionai allo studio della Medicina, a differenza del mio amico che non si laureò”.

Ripercorriamo insieme le tappe principali della sua carriera?
“All’Università, deciso a frequentare la Patologia Chirurgica, riconobbi nella segretaria del Direttore dell’ istituito del Corso, un famoso chirurgo toracico torinese, una mia lontana cugina che mi orientò verso la Chirurgia Plastica Traumatologica. Vinsi un concorso come allievo capo interno presso la Divisione di Traumatologia dell’ Ospedale S. Giovanni Battista nella sede di San Vito, dove giungeva la maggior parte degli infortuni sul lavoro di Torino e Provincia.
Iniziai a lavorare là proprio quando venne avviata la Clinica Ortopedica Universitaria. Dopo la laurea ed il servizio militare vinsi un concorso nazionale per assistenti presso unità Sanitarie INAIL ed in tal modo divenni assistente ospedaliero presso la Clinica ortopedica, dove ho fatto tesoro della esperienza nell’ortopedia e nella traumatologia tradizionali.
Nel tempo libero allora frequentavo il prof. Trillat a Lione, soprattutto per le tecniche chirurgiche sul ginocchio, il prof. Muller a Berna per la chirurgia protesica, il gruppo AO con il dott. Schnaider per la chirurgia ortopedica e traumatologica.
Nel 1968 vinsi un concorso e diventai primario in un piccolo ospedale ‘disperso’ nella campagna del cuneese. A 36 anni iniziai così una nuova avventura: incominciai praticamente da zero, in un ospedale con il personale tutto da formare, con l’obiettivo di trasformarlo in un centro ortopedico aggiornato con tecniche chirurgiche innovative. Mi impegnai nella ricerca di nuovi modelli protesici, avviai collaborazioni – che tuttora mantengo – con vari colleghi europei”.

Un confronto tra la vecchia e la nuova Ortopedia: come si è evoluta in questi anni?
“I progressi effettuati sono davvero degni di nota. Si può dire che, quando ho iniziato io a fare il medico, eravamo nel ‘Medio Evo’ dell’Ortopedia. Era una disciplina agli inizi. Quando frequentavo il quarto anno di Medicina gli anestesisti non esistevano, ed eravamo noi referenti a far addormentare i pazienti, con strumenti a dir poco antiquati, maschere che facevano respirare etere anche a noi. Di conseguenza la chirurgia ortopedica doveva avvenire in tempi veloci. Oggi è tutto diverso: l’evoluzione delle tecniche e dei materiali ha portato ad interventi sempre più sofisticati e meno invasivi, ad altissima precisione”.

Come vede il futuro dell’Ortopedia?
“Direi nebuloso. L’Ortopedia purtroppo non gioca un ruolo importante nell’economia mondiale. Tutti i materiali metallici utilizzati al mondo in un anno per questa disciplina equivalgono ad una sola colata di acciaio di un alto forno industriale, che al giorno ne fa tre. Dunque stiamo parlando di piccolissime quantità. Non essendo legata a fattori economici rilevanti, l’Ortopedia difficilmente vivrà una rapida evoluzione nella ricerca e nelle tecniche. Ci saranno probabilmente continue e piccole evoluzioni, ma più difficilmente rivoluzioni. Anche se un nuovo boom di interesse potrebbe essere legato, in futuro, all’utilizzo delle cellule staminali, che apriranno nuovi orizzonti di cura”.

Che cosa vuol dire per lei, oggi, far il medico?
“Un immenso piacere. Tenermi costantemente aggiornato sulle tecniche più innovative per poter essere utile alle persone è molto stimolante. Forse la mia ‘pecca’ è l’eccessiva partecipazione, il lasciarmi coinvolgere troppo. A volte un po’ di distacco dai casi che si trattano potrebbe aiutare a vivere con maggiore serenità. Ma è una questione di carattere”.

Per finire, un consiglio a chi si affaccia ora al mondo dell’Ortopedia?
“Farlo con entusiasmo. Occorre un notevole amore per lo studio, perché è necessaria una grande e solida preparazione di base prima di orientarsi verso una super-specializzarzione.
E’ questo, se vogliamo, il risvolto negativo dell’evoluzione tecnologica, che ha limitato notevolmente il campo di competenza, creando appunto delle super-specializzazioni, ed una inevitabile mancanza di eclettismo negli specialisti. Oggi l’ortopedico è un medico generico dell’Ortopedia. All’interno di questa disciplina, ogni singola branca necessita di una dedizione completa per raggiungere la massima raffinatezza tecnologica. Ecco perché, prima di specializzarsi, è necessario accumulare una grande conoscenza ed esperienza di base, indispensabile poi per potersi affinare al meglio in un determinato campo”.

Di Monica Florianello

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