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Vinciguerra: il laser per curare la maculopatia

11/12/2001

La terapia fotodinamica (PDT), è una tecnica laser di recente introduzione nella pratica clinica oculistica che permette di utilizzare il laser anche per la cura di particolari patologie dell’occhio come la maculopatia senza danneggiare le cellule della retina. L’opinione del dott. Paolo Vinciguerra, responsabile dell’Unità Operativa di Oculistica di Humanitas.

Dott. Vinciguerra, per quali malattie oculari è indicata la terapia fotodinamica?
“Sono due per ora: la degenerazione maculare senile e quella del miope. Patologie che comportano una neo-vascolarizzazione della retina, ossia l’insorgenza di vasi anomali, vene ed arterie, particolarmente permeabili (che lasciano quindi filtrare liquido) e soggetti ad emorragie. Questi vasi, formandosi nella zona centrale della retina (la macula) ossia l’area visiva utilizzata per la percezione dei colori e dei dettagli delle immagini, causano una diminuzione della vista particolarmente grave ed invalidante, che non può essere corretta con gli occhiali”.

Quali sono i vantaggi e come funziona la terapia?
“La terapia fotodinamica ha segnato, per la cura di questa malattia, una vera e propria svolta. Sino allo scorso anno infatti, l’unica terapia efficace era la fotocoagulazione tramite laser dei vasi anomali con la retina malata. Fotocoagulazione che tuttavia provocava una cicatrice permanente, causa di una chiazza scura nel campo visivo. Per questo motivo, la laserterapia non poteva essere effettuata in molti casi per evitare la cecità permanente. In altre parole, in questi casi si era costretti a lasciar progredire la malattia in modo naturale. La terapia fotodinamica è basata su un principio del tutto differente: l’iniezione, in una vena del braccio del paziente, di una sostanza fotosensibile, la verteporfina, che ha la particolarità di concentrarsi proprio all’interno delle vene anomale responsabili della malattia. Illuminando la retina del paziente con il laser, si provoca un lieve aumento della temperatura nelle zone in cui è presente la verteporfina, e la conseguente liberazione di alcune sostanze in grado di coagulare il sangue nei vasi malati, arrestandone la circolazione.
Così, non si corre il rischio di danneggiare la retina: si colpiscono solo le vene ammalate, in modo da arrestare le emorragie e la fuoriuscita di liquido nella retina centrale, mantenendo però intatta la capacità visiva. In alcuni casi, è necessario ripetere il trattamento nei mesi successivi, per mantenerne l’effetto in caso di tendenza alla ripresa della circolazione patologica”.

A cura di Maria Luisa Viviani

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