Prevenzione

AIDS e giovani, come ridurre i contagi?

26/09/2014

Sono trascorsi più di 30 anni da quando si è cominciato a parlare di AIDS, ma l’emergenza per l’HIV (il virus responsabile della sindrome da immunodeficienza) non è ancora finita.

Anche se i media ne parlano ormai sempre meno, il contagio da AIDS non si è mai fermato e ancora oggi al mondo sono infettate più di 35 milioni di persone, per un totale di 1,6 milioni morti ogni anno.

Il tutto condito da un dato sorprendente: mentre nei Paesi in via di sviluppo l’incidenza del virus va calando – con percentuali di contrazione che raggiungono anche cifre ragguardevoli, prossime al 40% rispetto ai momenti di maggiore incidenza – in Asia e soprattutto Europa i dati relativi al contagio di HIV sono in crescita del 13%. E i sintomi dell’AIDS, in particolare, riguardano soprattutto le generazioni più giovani: solo una sparuta percentuale di malati ha un’età superiore ai 50 anni.

Come si è venuta a creare questa situazione? Lo chiediamo al dottor Domenico Mavilio, Responsabile del Laboratorio di Immunologia Clinica e Sperimentale in Humanitas.

Come mai l’AIDS qui da noi ha rialzato la testa?

«Perché nei Paesi occidentali, tra i quali l’Italia, è diminuita l’attenzione verso questa malattia, soprattutto tra i giovani. Molti di loro si infettano e non lo sanno, non se ne accorgono, è diffondono il virus tra i loro coetanei. Sono gli stessi giovani i più grandi vettori del virus HIV, la loro inconsapevolezza è il problema maggiore. Non conoscono l’AIDS e i suoi effetti e si rendono conto di essere stati infettati molte settimane o mesi dopo dall’infezione acuta, avendo nel frattempo contribuito a diffondere il virus tra i propri coetanei».

Che cosa si può fare per arginare questa diffusione del virus HIV tra i giovani?

«L’unica terapia definitiva efficace per l’HIV al momento attuale è la prevenzione. Bisogna informare i ragazzi, che spesso quando scoprono di avere contratto il virus nemmeno conoscono che cosa tutto questo comporti e comporterà per il resto della loro vita. Non sanno che dovranno affrontare una terapia antivirale impegnativa con diversi farmaci da prendere diverse volte ogni giorno per tutta la vita almeno allo stato attuale delle cose, non sanno che non esiste una cura definitiva, non si immaginano tutti i problemi che dovranno affrontare dal punto di vista sociale. Da questo punto di vista è la scuola che deve riappropriarsi di un compito informativo e formativo. Negli anni ’80, quando l’epidemia aveva raggiunto numeri davvero preoccupanti – ma attenzione, preoccupanti lo sono anche oggi – c’erano programmi, libri, fumetti che informavano i giovani sulla natura del problema e su come evitare il contagio. Oggi è rimasto molto poco di tutto questo e non si pone l’attenzione necessaria su corsi e lezioni di educazione sanitaria e risvolti sociali ed epidemiologici di una malattia che cambia completamente il corso della vita. Troppo spesso i giovani sono completamente abbandonati a sé stessi e naturalmente non sanno cosa fare.».

Servono dunque adeguate armi di prevenzione…

«Sì, ma è fondamentale che queste passino attraverso la scuola. Bisogna parlare del preservativo, avere rapporti protetti è fondamentale. Ci sono poi nuove armi, come ad esempio un gel che le ragazze possono utilizzare prima del rapporto sessuale o come nuovi programmi che prevedono l’uso di terapie anti-retrovirali preventive in soggetti sani che hanno un partner sieropositivo. Contro l’HIV la prevenzione è l’unica arma efficace che abbiamo a disposizione, almeno fino a quando non si scoprirà la cura definitiva contro l’AIDS. Ma questo è difficile che accada, nella migliore delle ipotesi, prima di qualche lustro»

I sintomi dell’AIDS, come si riconoscono?

«Non è facile, perché nel 95% dei casi sono molto simili a quelli di un male di stagione: tosse, febbre, diarrea, raffreddore, spossatezza. Il giovane che ha questi sintomi e che ha avuto di recente (qualche settimana prima) un rapporto sessuale non protetto con una persona sconosciuta o con un partner occasionale deve andare dal medico e raccontare la sua situazione. Il medico a quel punto predisporrà una serie di esami tra i quali il test dell’HIV, per verificare la natura dei disturbi»

 

il punto sull’AIDS in un convegno internazionale di Immunologia in Humanitas

Mercoledì 1 ottobre alle ore 11 al Centro Congressi di Humanitas, a Rozzano, avrà luogo il convegno “Perché oggi Ebola fa più paura dell’AIDS” cui parteciperanno alcuni tra i massimi esperti al mondo di HIV:

Robert Gallo, Institute of Human Virology of the University of Maryland School of Medicine

Daniel Douek, Human Immunology Section, Vaccine Research Center, NIAID – National Institute of Allergy and Infectious Diseases

Genoveffa Franchini, Vaccine Branch, Center for Cancer Research, National Cancer Institute

Michael Malim, Dept of Infectious Disease, King’s College London

 

Tra gli argomenti trattati: i comportamenti delle giovani generazioni che influiscono sulla diffusione del virus, la mancanza di una cura definitiva, il fallimento dei vaccini finora predisposti e gli sviluppi per i vaccini futuri, il raffronto tra l’epidemia di Ebola e quella dell’AIDS e le ultime frontiere terapeutiche basate su nuove molecole e fattori di restrizione.

 

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