Stai leggendo Tumore alla prostata, ecco quanto pesa aver avuto un caso in famiglia

Prevenzione

Tumore alla prostata, ecco quanto pesa aver avuto un caso in famiglia

15/09/2016

Come varia il rischio di sviluppare un tumore prostatico in base alla familiarità? Avere avuto una diagnosi in famiglia ha effetto anche sul tipo di tumore prostatico che si rischia? A queste domande hanno cercato di rispondere dei ricercatori dell’Umeå University e Lund University (Svezia) in uno studio pubblicato su Journal of the National Cancer Institute. Il rischio è il doppio di quello normale se si ha un fratello che ha già sviluppato questa forma di neoplasia.

Il team ha valutato i dati di oltre 50mila uomini in Svezia i cui padri e fratelli avevano ricevuto una diagnosi di carcinoma prostatico. È emersa una stratificazione del rischio così articolata:

  • gli uomini con un fratello con tumore prostatico correvano un rischio del 30% di ricevere una diagnosi prima dei 75 anni rispetto al 13% della popolazione generale senza familiarità e il 9% di rischio di svilupparne uno aggressivo rispetto al 5% nella popolazione generale senza familiarità;
  • gli uomini con un padre e un fratello con una diagnosi di tumore alla prostata correvano un rischio triplo di svilupparlo e un rischio del 48% d’insorgenza di un tumore di qualsiasi forma (sempre 13% nella popolazione generale). Il rischio di sviluppare invece un tumore aggressivo era del 14% (il 5% nella popolazione generale).

(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, un uomo su due ne ignora i sintomi)

Si parla di familiarità e non di ereditarietà per il tumore alla prostata

Il fattore di rischio con il quale la correlazione è più forte è dunque proprio la familiarità, come spiega il dottor Massimo Lazzeri, urologo dell’ospedale Humanitas: «Aver avuto un congiunto di primo grado con questo carcinoma è un elemento importante da tener presente per valutare il proprio rischio».

«Ricordiamo inoltre – continua lo specialista – che si tratta di familiarità e non di ereditarietà e che il rischio aumenta con la vicinanza con il congiunto colpito da questa neoplasia e quindi un padre o un fratello “pesano” di gran lunga di più rispetto a uno zio paterno. Infine il profilo di rischio aumenta se i familiari con tumore prostatico sono più di uno; se hanno sviluppato un tumore più aggressivo e se la diagnosi è arrivata in età giovanile».

Settembre, in Nord America, è il mese dedicato alla prevenzione di una patologia che negli Stati Uniti rappresenta la forma di cancro più comune tra gli uomini. Anche in Italia lo è. Pertanto è importante rispondere a questa domanda: se in famiglia ci sono stati casi di carcinoma prostatico come si procede? «Una persona con un parente di primo grado con diagnosi di tumore alla prostata dev’essere monitorata attivamente, sin da giovane, secondo alcune indicazioni a partire dai 40 anni d’età», risponde il dottor Lazzeri.

(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, meno esami inutili con i nuovi marcatori)

Di recente si è acceso il dibattito sull’opportunità di ricorrere al test del PSA (Antigene Prostatico Specifico, come marcatore del rischio) per effettuare una sorta di screening per il carcinoma alla prostata. La comunità scientifica è andata alla ricerca di nuovi marcatori, più fini: «L’equipe del professor Giorgio Guazzoni, responsabile dell’UO di Urologia di Humanitas, nel 2013 aveva pubblicato uno studio sul British Journal of Urology International in cui dimostrava l’efficacia di un nuovo test, quello del PHI, proprio in pazienti con familiarità positiva per un carcinoma prostatico. Con questo esame è possibile diminuire il numero di biopsie inutili e ridurre e i sovratrattamenti rispetto all’impiego del solo PSA», conclude il dottor Lazzeri.

Articoli che potrebbero interessarti

Non perderti i nostri consigli sulla tua salute

Registrati per la newsletter settimanale di Humanitas Salute e ricevi aggiornamenti su prevenzione, nutrizione, lifestyle e consigli per migliorare il tuo stile di vita