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Prevenzione

Se il diabete ci sta a cuore…

02/02/2010

Un paziente diabetico ha una probabilità doppia di andare incontro a infarto o ictus. Diventa quindi indispensabile prevenire la trombosi, principale causa di malattie cardiovascolari.

Ogni anno in Europa 2 milioni di persone perdono la vita in età ancora produttiva per malattie da trombosi, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che entro il 2010 le malattie cardiovascolari diventeranno la prima causa di morte anche nei Paesi in via di sviluppo. Nel 2025, invece, i diabetici nel mondo saranno oltre 400 milioni.
Un paziente diabetico ha una probabilità doppia di andare incontro a infarto o ictus. Diventa quindi indispensabile prevenire la trombosi, principale causa di malattie cardiovascolari. Lo stile di vita – attività fisica, alimentazione sana ed equilibrata, niente fumo e poco alcol – ha un enorme impatto sulla probabilità di malattie vascolari da trombosi nella popolazione sana e ancor più nei diabetici: il paziente deve “fare squadra” con il proprio medico, per contribuire a ridurre il rischio.

La prevenzione nel paziente con diabete diventa indispensabile, urgente e possibile. Solo la ricerca potrà fornire le armi per difendere la salute dei cittadini. Condividere il più possibile le conoscenze e il lavoro di squadra permetteranno di acquisire maggiore consapevolezza sulla possibilità di dare non solo anni alla vita, ma qualità agli anni. “Per raggiungere questo obiettivo – spiega il dott. Stefano Genovese – è indispensabile che i medici e i ricercatori dialoghino fra loro, perché un approccio multidisciplinare è indispensabile per curare al meglio i pazienti e affrontare con la massima efficacia possibile la prevenzione delle malattie cardiovascolari nei diabetici”.

La ricerca dunque assume un ruolo sempre più importante. “Grazie alla ricerca scientifica – spiega il prof. Alberto Mantovani – negli ultimi 10 anni è cambiata radicalmente la visione dell’aterosclerosi, meccanismo alla base delle malattie cardiovascolari. Prima si pensava che fosse solo causata dal deposito di grassi all’interno della parete dei vasi sanguigni, che col tempo formano delle placche. Gli studi degli ultimi anni invece hanno portato alla definizione oggi condivisa dell’aterosclerosi come malattia infiammatoria cronica delle arterie, legata dunque non solo a fattori di rischio cardiovascolare ma anche a meccanismi infiammatori.
Questa diversa visione dell’aterosclerosi ha avuto ed ha conseguenze importanti. Dal punto di vista terapeutico ha aperto la strada ad indicazioni diverse di farmaci già noti, come le statine, introdotte per abbassare il colesterolo e in realtà efficaci nella prevenzione dell’aterosclerosi per la loro capacità di inibire i processi infiammatori. In virtù di questa rilettura dell’arterosclerosi assumono un senso diverso anche i marcatori di infiammazione: la proteina C reattiva oggi è molto utilizzata, in particolare oltreoceano, come indicatore di rischio per patologie cardiovascolari.
Fondamentale, quindi, proseguire gli studi: per identificare con esattezza le molecole infiammatorie che giocano un ruolo reale nel danno cardiovascolare e, fra loro, quelle che riflettendo meglio il danno nei tessuti possono guidare l’approccio terapeutico”.

A cura della Redazione

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