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Alimentazione

Dipendenza da cibo, esiste davvero?

03/04/2013

Se assunto in maniera sregolata e ossessiva, il cibo può determinare comportamenti alimentari anomali che nascondono situazioni particolari vissute dalle singole persone. Ne parliamo con la psicologa Barbara Mingardi.

Il cibo non è solo un alimento necessario al nostro organismo per vivere bene e in salute. Può se assunto in maniera sregolata e ossessiva, determinare comportamenti alimentari anomali che nascondono vissuti e situazioni particolari delle singole persone. Di questo abbiamo parlato con Barbara Mingardi, psicologa del Centro Obesità di Humanitas Gavazzeni.

Esistono cibi che possono creare dipendenza?

«Non esistono cibi che creano, di per sé, dipendenze. Il rapporto con il cibo e l’utilizzo che si fa di esso hanno sempre a che fare con l’interiorità della persona e con i contesti di vita e relazionali in cui la persona stessa vive o ha vissuto in passato. Ciò che può sviluppare quindi una situazione di dipendenza, non è un cibo particolare ma un insieme di vari fattori come ambiente, cultura, personalità, ecc.».

Ci sono però persone che parlano del loro rapporto con il cibo come di una dipendenza. Perché succede?

«Ci sono persone che per la loro personalità possono avviare lo sviluppo di un rapporto di dipendenza con il cibo, in modo continuativo oppure come modalità caratteristica in alcuni periodi di vita o in determinate situazioni ambientali. Spesso può succedere che i comportamenti alimentari anomali siano sostenuti da sfondi di ansia oppure da vissuti depressivi relativi, ad esempio, a difficoltà relazionali, affettive o per conflitti intrapsichici di cui la persona non ha piena consapevolezza. Anche nel caso in cui la persona presenti dei comportamenti particolari nei confronti del cibo, ne va comunque valutata l’importanza clinica o meno ed è inoltre necessario comprendere di quale tipo di difficoltà possano essere sintomo queste condotte alimentari».

Quando il cibo quindi, se eccessivo, diventa una minaccia per il nostro organismo?

«Più che il cibo in sé, il rapporto con il cibo diventa un disturbo clinicamente significativo quando la condotta alimentare incongrua diventa una modalità sintomatica che la persona utilizza in modo costante per compensare uno squilibrio, un conflitto oppure un vissuto di sofferenza».

Un supporto psicologico può essere utile in questo contesto?

«Un lavoro psicologico può essere utile in questo contesto e diventa fondamentale quando il rapporto patologico con il cibo inizia a generare disadattamento e quando le condotte alimentari iniziano a condizionare man mano in modo sempre più importante la vita della persona».

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