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Benessere

Depressione post parto, alti valori di ossitocina un campanello d’allarme?

11/04/2016

Misurare l’ossitocina per diagnosticare la depressione post partum. Alti livelli di ossitocina durante il terzo trimestre di gravidanza in donne che hanno già sofferto di depressione, potrebbero indicare la severità di questo disturbo al termine della gestazione. Lo sostiene uno studio della Northwestern University di Chicago (Stati Uniti) e pubblicato su Archives of Women’s Mental Health.

Allo studio hanno preso parte 66 donne incinte. I ricercatori hanno misurato il livello di ossitocina nell’ultimo trimestre e i sintomi di depressione dopo il parto. È emersa una particolare associazione fra le 13 partecipanti che avevano già attraversato periodi di depressione ed elevati valori di questo ormone: più alto era il livello, più sintomi c’erano. Tra questi: insonnia, ansia, mal di testa, stanchezza, inappetenza e tristezza.

(Per approfondire leggi qui: Depressione post parto e “baby blues”, il lato oscuro della maternità)

Quest’associazione ha sorpreso gli stessi autori della ricerca che si attendevano indicazioni da bassi livelli di ossitocina. Tuttavia, spiega la principale ricercatrice, un passato di depressione potrebbe cambiare i recettori dell’ossitocina rendendoli meno efficienti: quando una donna manifesta i primi sintomi di depressione, l’organismo rilascerebbe questo ormone per contrastarla.

Dalla ricerca potrebbero arrivare indicazioni utili per poter mettere a punto un nuovo biomarcatore, fare una sorta di screening delle donne più a rischio e intervenire in maniera preventiva, suggerisce il team.

Anche adolescenti più a rischio di depressione post parto

«Al di là delle ottimistiche indicazioni per il futuro che potrebbero arrivare da questo recente studio, la depressione post partum può essere temuta in alcune situazioni pre gravidiche o pre parto. È più a rischio chi soffre di sindrome premestruale o chi ha già manifestato quadri di depressione post partum in gravidanze precedenti; inoltre le donne che presentano disturbi psichici prima della gravidanza con tendenza alla sindrome depressiva, in particolare quelle che hanno sospeso la terapia antidepressiva poco prima della gravidanza o appena accertato lo stato gravidico», spiega la dottoressa Elena Zannoni, ginecologa e responsabile del Servizio di Chirurgia conservativa ed endoscopica dell’ospedale Humanitas.

(Per approfondire leggi qui: Depressione, casi in aumento nelle donne)

«Infine sembrano maggiormente a rischio le donne che rimangono in stato di gravidanza in età molto giovane, in particolare le adolescenti; sia perché spesso si tratta di gravidanze indesiderate o non cercate (con ripercussioni a livello familiare e/o del rapporto di coppia), sia perché questa popolazione di donne spesso rifiuta la contraccezione ma ricerca comunque il sesso, quasi come effetto consolatorio della loro depressione o “male di vivere”».

Si può prevenire la depressione post parto?

«Le azioni da fare sono:

  • Individuare la popolazione a rischio, ossia le donne maggiormente vulnerabili, già prima della gravidanza. Queste donne devono essere seguite dal punto di vista psicologico, oltre che ginecologico, durante la loro gravidanza, accompagnandole al parto, in modo che siano più forti nel momento in cui si troveranno ad affrontare un momento bellissimo ma altrettanto complesso ed emozionalmente contrastante, quale è la nascita e l’accudimento di un bambino;

  • Aiuto e sostegno da parte dei familiari. Questo è un aspetto molto importante. La neo mamma non deve essere lasciata sola, ma aiutata con dolcezza (e contemporaneo rispetto degli spazi e dei ruoli) ad occuparsi del bambino, arrivando a capire di non essere una “cattiva madre” o una madre “inadeguata”. Le persone che le stanno intorno devono anche permetterle un giusto riposo (evitandole per esempio di alzarsi di notte se il bambino piange o deve essere cambiato, aiutandola nelle faccende domestiche durante il giorno), in modo da recuperare forze fisiche e psicologiche che le permetteranno di superare il periodo critico (definito anche “maternity blue”)

  • Infine, in alcuni casi, è corretto ricorrere a terapie farmacologiche, ovviamente sotto stretta osservanza dello specialista», conclude la dottoressa.

 

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