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Quel grasso che “ripara” le ustioni

11/12/2006

Un grasso che aiuta a rimarginare i segni lasciati dalle bruciature. Un recente studio clinico ha messo in luce le positive trasformazioni del tessuto cicatriziale degli ustionati in seguito a ripetuti trattamenti di “lipofilling”, la tecnica che preleva il grasso dal paziente e, dopo un’opportuna “lavorazione”, lo inietta nelle parti da trattare. A firmare il lavoro, attualmente in fase di pubblicazione negli Stati Uniti, sono stati il prof. Marco Klinger, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Plastica II dell’Istituto Clinico Humanitas e direttore della II Scuola di Specializzazione in Chirurgia plastica e ricostruttiva dell’Università degli Studi di Milano, e il prof. Mario Marazzi, direttore del Centro culture cellulari dell’Ospedale Niguarda di Milano.

Prof. Klinger, davvero il grasso migliora i tessuti?
“Per quanto riguarda i casi analizzati nel nostro studio, sì e in modo sorprendente. In seguito a due trattamenti di lipofilling, tessuti cicatriziali del volto che avevano l’aspetto del cuoio raggrinzito, con movimenti mimici assenti, hanno riacquistato funzionalità, vitalità, spessore. E non si tratta solo di una valutazione soggettiva, come confermano gli esami a cui sono stati sottoposti i pazienti considerati nel nostro studio. A proposito dello studio, è importante ricordare che, per quanto siano positivi i risultati registrati, la cautela nel considerare tutti gli altri è una doverosa. Insomma, siamo soddisfatti, ma non vogliamo essere trionfalistici”.

Ci parli allora dei fatti. Quali sono stati i casi oggetto dello studio?
“Si tratta di tre gravi ustionati al volto, con esiti di bruciature di II e III grado, da fiamma viva, metallo ad alta temperatura ed esplosioni che risalgono a un periodo compreso tra i due e i 14 anni prima, tutti già curati con interventi ricostruttivi spesso anche davvero impegnativi – per ricostruire la piramide nasale, la zona delle sopracciglia e delle labbra – e con dermoabrasione, per migliorare la qualità estetica del tessuto cicatriziale”.

E invece voi avete utilizzato il grasso. Da cosa è venuta l’idea di ricorrere a questo materiale?
“Ci siamo richiamati al protocollo del lipofilling messo a punto dall’americano Sydney Coleman già negli anni Ottanta e poi continuamente perfezionato. L’aspetto nuovo, quindi, non consiste nella tecnica ma piuttosto nell’intuizione di utilizzare il grasso autologo, cioè quello prelevato dallo stesso paziente, per curare le più brutte cicatrici, appunto quelle causate dalle ustioni”.

A questo punto ci deve spiegare, nel concreto, come si fa a curare queste cicatrici con il lipofilling.
“Innanzitutto bisogna prelevarlo. Come per una normale lipoaspirazione, si praticano piccole incisioni nei fianchi e nella regione attorno all’ombelico, che sono le riserve del grasso di migliore ‘qualità’. Il materiale aspirato viene raccolto e centrifugato, per depurarlo da plasma e altri componenti del sangue, e quindi impiantato nella cicatrice, utilizzando piccoli aghi da chirurgia plastica”.

E a questo punto cosa succede?
“Sul volto si applica una medicazione leggera e il paziente non ha più alcun fastidio. Anche per la sede donatrice, addome o fianchi che siano, i disturbi sono minimi. Di norma si utilizza una medicazione elastica, per favorire la retrazione dei tessuti, anche se il materiale aspirato è sempre di piccola entità. Da un punto di vista pratico, l’intervento finisce qui, anche se proprio a questo punto inizia il ‘lavoro’ delle cellule adipose sul tessuto cicatriziale. Sono loro, o più probabilmente le cellule staminali adulte in queste contenute, a favorire la rigenerazione dei tessuti”.

In quale modo è stata misurata questa rigenerazione?
“A seconda dei casi, a 3, 4 e 7 mesi dal lipofilling abbiamo eseguito sui pazienti una risonanza magnetica nucleare e una biopsia, e lo stesso è stato fatto dopo un secondo trattamento di lipofilling. I risultati sono stati assolutamente concordi: i tessuti molli presenti nella metà ustionata del volto dopo la lipostruttura sembrano assolutamente simili, per quantità e qualità, a quelli della parte sana. Insomma, i tessuti si rinascono, come dimostra anche la grande quantità di cellule giovani evidenziate dagli esami istologici”.

E da un punto di vista estetico, cosa succede?
“Semplificando al massimo, il volto riacquista simmetria – non dimentichiamo che parliamo di persone che hanno quasi perduto metà del viso – mobilità e funzionalità, come ad esempio quella di aprire e chiudere con facilità e completamente la bocca. Per dare un’idea della rigenerazione dei tessuti, forse basta un dettaglio: nei tessuti cicatriziali degli uomini è comparsa la barba”.

A cura della Redazione

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